Puntuale come la valutazione della vendemmia appena trascorsa – spesso sbandierata come la migliore degli ultimi anni –, l’autunno porta con sé le consuete presentazioni delle guide che tratteggiano il panorama vinicolo italiano. La loro uscita è accompagnata da interrogativi, non sempre benevoli, sulla reale utilità e sulla capacità di incrementare le vendite di vino, forse senza domandarsi quale sia l’obiettivo di queste pubblicazioni.

Parliamo naturalmente delle guide cartacee, perché ciò che avviene in rete è più difficile da classificare, grazie all’innegabile privilegio di poter ospitare un numero elevato di produttori e in frequente aggiornamento, non avendo vincoli di spazio o temporali.

In un panorama sempre più presidiato da competitor di spessore, animati da differenti obiettivi e strategie, a giudicare dalle attese degli affezionati lettori si direbbe che l’utilità delle guide non sia in discussione. Il momento dell’anno è quello più propizio, perché la maggior parte dei vini sono già ben caratterizzati per poterne tracciare un adeguato profilo organolettico; inoltre, si prosegue il filone che nell’enogastronomia scandisce punteggi e classifiche. I lettori hanno così a disposizione uno strumento che li accompagnerà per un anno intero. Non è casuale, infatti, che tutte le pubblicazioni riportino in bella evidenza il millesimo successivo alla data di pubblicazione, pur essendo un resoconto di quanto avvenuto nei dodici mesi precedenti. Inoltre, diversamente da un romanzo, non ci sono vincoli nella sequenza di lettura, perché ogni pagina e ogni capitolo rappresentano storie a sé, da consultare con la massima libertà. Dal punto di vista dei produttori recensiti, le guide costituiscono un’eccellente opportunità per verificare la risposta della critica di settore, anche laddove le valutazioni non siano univoche, confrontando i giudizi espressi con le proprie opinioni.

Sulle tirature siamo ben lontani dai numeri rilevanti che si registravano all’inizio del millennio, ma occorre confutare il banale luogo comune secondo il quale solo i produttori acquistano le guide, per sé o per i propri clienti e collaboratori, perché qualche migliaio di copie – questa la media delle aziende recensite – non assicurerebbe neppure lontanamente la sostenibilità economica di una pubblicazione. Le comprano gli addetti ai lavori, ristoranti ed enoteche in primis, per aggiornare le carte dei vini e le referenze a disposizione o per documentarsi sulle novità. Elevato, poi, è il gradimento tra il pubblico degli appassionati, che si riconoscono in una precisa filosofia di ricerca. Aspetti descrittivi e criteri di valutazione, che privilegiano alcuni dettagli a scapito di altri, consentono alle redazioni di plasmare il proprio taglio editoriale, di selezionare le presenze in guida e perfino di definire i punteggi attribuiti ai vini, in una logica di aderenza a un modello di riferimento.

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In definitiva, anche chi non è convinto che le guide servano a vendere più vino deve ammettere che contribuiscono a divulgare la conoscenza di un settore delicato e strategico, e di monitorarne costantemente lo stato di salute. Siamo proprio sicuri che convenga farne a meno?