Bricco dell’Uccellone cantina
La barricaia di Braida

La prima annata de Il Bricco dell’Uccellone di Braida risale al lontano 1982. Erano anni pionieristici nel mondo enoico italiano. Gli anni della rinascita. Se ci riferiamo poi al/alla Barbera d’Asti non ne parliamo. Giacomo Bologna faceva parte di quella manciata di vignerons visionari e dotati di raro savoir-faire che hanno rinnovato la viticoltura italiana. E la hanno internazionalizzata. Così il vino da tavola piemontese, banale e ridotto ai suoi confini regionali, è divenuto in breve quasi una star e il Bricco dell’Uccellone ha trainato il/la Barbera nella conquista del mondo. Con due formule oggi considerate facili facili: la zonazione in vigna e l’impiego del legno. Selezione dei cru, rese basse, affinamento in barrique. E una profonda sapienza enologica, o meglio una profonda visione enologica.

Dal 1994 l’azienda è condotta dai figli di Giacomo, Giuseppe e Raffaella, che conservano l’impronta felice e riconoscibile del padre. E il 2022, secondo Giuseppe Bologna, è un’annata davvero degna per celebrare l’anniversario della maison di Rocchetta Tanaro: «Dal 1994, quando raccolsi totalmente la responsabilità della produzione in azienda, ne ho viste di annate strane… Questa è sicuramente senza paragoni, una vendemmia storica ma allo stesso tempo senza riferimenti storici applicabili: emozioni del tutto nuove».

Ripercorriamo allora la storia del Bricco dell’Uccellone con Raffaella.

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Tutto ha inizio quando mio padre nel 1961 assume le redini dell’azienda dopo mio nonno, detto Braida. Un nome che gli fu affibbiato dai compaesani di Rocchetta Tanaro, perché assomigliava a un campione dell’epoca di pallone elastico. Nome che ancora oggi è la firma della nostra cantina.

Raffaella Bologna

Un battesimo tuttavia difficile…
«Quante saccagnate prese dai francesi. Mio padre portò a Bordeaux la sua Monella, la sua Barbera mossa, ma tornò a casa a testa bassa. Quindi decise di mettersi a studiare, perché era un autodidatta, figlio di contadini. Tornò in Francia per seguire vari corsi, ma fu importante per lui un viaggio nel 1978 in California, dove incontrò produttori immigrati piemontesi, Trinchero e Seghesio, che come primo vino gli presentarono la loro Barbera. Quindi all’Università di Davis incontrò l’enologo André Tchelistcheff, che gli disse che in California studiavano la Barbera, quando qui in Italia e in Piemonte ci si vergognava quasi ad averla in carta di vini perché si serviva in caraffa  in damigiana e non si parlava del valore di un cru, di una vigna, di un bricco di un poggio. Allora mio padre tornò a casa e disse a mia madre: “O cambiamo o chiudiamo”. Per fortuna mia madre rispose: “Cambiamo”. Da qui comincia l’avventura (banche incluse!), per fare selezione in vigna, acquistare barriques, intraprendere la tecnolgia del freddo, individuazione dei crus. E quindi l’individuazione del Bricco dell’Uccellone come la vigna più vocata».

E fu subito un successo
«Dal 1978 al 1981 papà sperimentò e la vendemmia 1982 fu la prima, ma rilasciata tre anni dopo. E l’82 fu un’annata strepitosa. Wow! I meravigliosi anni Ottanta. Il riscatto del vino del popolo è stato immediato e nelle degustazioni alla cieca, lo stile di Braida e ancora meglio del Bricco dell’Uccellone è emerso con nettezza».

Partenza Rocchetta Tanaro, destinazione il resto del mondo.
«Il lavoro che come famiglia Bologna compiamo per questo territorio con la nostra Barbera è qualcosa di positivo e carico di passione. E girando il mondo per promuovere il nostro vino scopriamo anche che l’assaggio di cibi e pietanze appartenenti a tradizioni e culture gastronomiche diverse, dall’Asia al Nord America. Mi moziona sempre la versatilità in tavola del Bricco dell’Uccellone. Di recente sono stata a San Francisco in un ristorante stellato marocchino. Ma non avrei mai immaginato che il sommelier decidesse e trovasse il giusto abbinamento con la cucina gourmet del locale. Ovviamente anche molto speziata».

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È cambiato un po’ il modo di vinificare il Bricco dell’Uccellone in questi 40 anni?
«Nulla rimane uguale, soprattutto il clima. Che è la variabile più importante. Noi interveniamo poco in cantina, è la Natura che detta le regole e poi noi ci si adegua. L’adeguamento tecnico più evidente è il minor tempo di affinamento in legno. Se le annate dalla 82 al 97 avevano gradazioni tra i 13,5 e i 14%, ora siamo sui 15/15,5%. Il vino quindi affina in legno un anno, al massimo 15 mesi. Questo per mantenere l’eleganza propria dell’Uccellone».

La tradizione gastronomica della vostra famiglia va a braccetto con la Barbera.
«Esatto. Noi siamo figli di ristoratori. Mia nonna era una cuoca eccellente della Trattoria Braida, mia madre non era da meno, pertanto io godo del vino mangiando e mi piace stupirmi che la bottiglia si svuota perché era proprio buona e giusta per l’abbinamento».

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Parte della tradizione è anche la stessa etichetta, praticamente identica dal 1982.
«Sì, il lettering è ancora lo stesso, poi in etichetta sono cambiate alcune cose, ma dovute all’evolversi della dominazione e del disciplinare, da qualche tempo l’etichetta è serigrafata e a garanzia di nostri clienti sul vetro è impresso il marchio “Braida”».

Se dovesse descrivere in tre parole/espressioni chiave che cos’è la Barbera d’Asti per lei e in particolare Bricco dell’Uccellone, quali utilizzerebbe o utilizza di solito?
«Per me il nostro vino è territorio e un viaggio verso l’Italia  il Piemonte. È una passeggiata nella nostra terra, devi sentire il tartufo, la ciliegia, la rosa… e l’aria di casa nostra. L’altra parola chiave è “dinamica”. La Barbera e a maggiore ragione il Bricco dell’Uccellone. Perché viaggia con disinvoltura sulle tavole di tutto il mondo. E poi l’amore e la gioia che questo vino comunica. Io ho scelto di concentrarmi sulla Barbera quando vidi al ristorante gente felice e gioiosa che si confessava e raccontava anche argomenti privati. E poi vidi mio padre avvicinare una bottiglia di Monella all’orecchio. Pensai che fosse un po’ matto. Avevo nove anni. Lui mi disse: “La Barbera sta rifermentando e suona”. Capperi! Col tempo l’ho capito».

Domanda un po’ banale. L’ospitalità di Braida
«È nel nostro DNA, in quanto famiglia di ristoratori e la applichiamo almeno dal 1961. Oggi è davvero a tutto tondo, degustazioni con varie declinazioni, gastronomia (la storica Trattoria I Bologna) e molto altro inclusi il Braida Wine Resort e il Parco Naturale di Rocchetta Tanaro».

Oltre al Bricco dell’Uccellone c’è un altro vino a cui è particolarmente affezionata?
«Sicuramente La Monella, sono le due facce della stessa medaglia. La Barbera nobile e austera, e c’è la Barbera  che rappresenta il vino della pancia, un vino meno intellettuale, ma che ha la gioia in sé. La Monella, Barbera mossa rifermentata, la abbiamo ereditata dal nonno Giuseppe che non possedeva le tecniche  enologiche, ma aveva vigne importanti. E quando nacqui io nel 1969 mi fu dato il soprannome “La Monella”, con mio fratello a volte ci prendiamo in giro appellandoci come lui l’uccellone e io la monella di famiglia».

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Un’altra domanda un po’ banale, quasi un tormentone. Le lancio qualche termine: biologico, biodinamico, sostenibilità…
«In etichetta non applichiamo nessun bollino. Siamo sostenibili da sempre e crediamo più alla sostanza che alla carta e alla burocrazia. Il vino deve innanzitutto essere buono e io sono la prima a bere il mio vino. Tutto questo parlar di biologico, biodinamico, biodiversità comunque accende qualche lampadina e può far bene».

Era quasi una domanda retorica.
«Guarda, mi viene chiesto ogni giorno e io rispondo sono una contadina, una imprenditrice agricola, vivo e dipendo dalla Natura, pertanto sono la prima a proteggerla. Se facessi il contrario sarei autolesionista. Non produciamo una bevanda commerciale, ma annata dopo annata cerchiamo di interpretare il nostro patrimonio vitivinicolo al meglio e fare esprimere la nostra terra, che è una terra di cercatori di tartufi, è ricca di sottobosco, noccioli, fiori. E tutto questo si gode nel calice».

Avete dei fan sfegatati di Bricco dell’Uccellone?
«È stato bellissimo durante l’isolamento dovuto al Covid ricevere continuamente mail e telefonate del tipo: “Sto soffrendo per la mancanza del Bricco dell’Uccellone. Aiutatemi!”. Pertanto abbiamo rafforzato la nostra presenza sui canali online, così che queste persone che non potevano gustare una bottiglia al ristorante o che non potevano raggiungere un’enoteca, ricevessero a casa il vino».

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Quanto è longevo il Bricco dell’Uccellone?
«Abbiamo fatto una piccola verticale a inizio settembre 2022. E abbiamo stappato appunto una bottiglia del 1982. Ancora bevibilissima. E nei nostri libri c’erano segnate delle annate piovose, poco produttive. Ma porca miseria, per esempio la ’94 si è rivelata nel tempo meravigliosa. Sarà lo stile “barbaro” della Barbera, ma proprio le annate più sottovalutate, nel tempo si sono rivelate speciali».

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