Perchè Gaber non scriverebbe mai più Barbera & Champagne
Non so voi ma trovo sempre più insopportabile sentire suonare Barbera e Champagne di Giorgio Gaber ogni volta che si deve parlare di una delle due denominazioni o del vino in generale. Primo perché ormai di vino si è ricominciato a parlarne in moltissime canzoni (“Come un tuono” di Rose Villain con Malvasia e Sassicaia, le “arance e vino rosso” di Emma in Mezzo Mondo, il vino sul letto con cui cena Annalisa fino a Taylor Swift e Adele) e quindi c’è solo l’imbarazzo della scelta e secondo perché nel 1972 quando Gaber la scrisse potevano essere vini effettivamente agli antipodi per prezzo, pubblico e qualità mentre oggi non si fa fatica a metterli accanto a tavola e sullo scaffale. Per dimostrarlo siamo arrivati a proporre durante la prima edizione del Barbera d’Asti Wine Festival, (tenutasi dal 6 al 15 settembre ad Asti, appunto con decine di ospiti, talk, personaggi dello spettacolo e della cultura, non solo enoica) una comparata di Barbera e Champagne per dimostrare quanto siano oggi vicini e quali siano gli elementi su cui la Barbera d’Asti (Nizza compreso) debba puntare nel prossimo futuro. Per chi ha tempo abbiamo registrato tutto nel podcast, per tutti gli altri ve lo riassumiamo qui.
L’idea di fondo è che la Barbera d’Asti, compresa la sua punta di diamante ovvero il Nizza DOCG, dovrebbe concentrarsi su tre elementi che garantiscono il successo costante e continuo allo Champagne ovvero la gestione della sua inesauribile acidità, la capacità di legarsi ai cibi e l’affinità con il legno e la botte sia piccola che grande, elemento che Giuliano Noè e Giacomo Bologna con il suo sempre citatissimo Bricco dell’Uccellone hanno dimostrato ormai trent’anni fa.
Per capirlo abbiamo servito (alla cieca) la Barbera d’Asti 2022 con lo Champagne Ultime Brut di Boizel, un classico esempio di come acidità sferzante venga ben bilanciata da maturità di frutto (pesca, albicocca, arancio, mandorle tostate) e scelta delle uve più rotonde ma che si fa ricordare per la grande grinta e freschezza che lo contraddistingue con ovviamente il dosaggio inesistente ad aiutare. Il finale non ferisce e non esagera in durezza come succede invece talvolta in alcuni Pas Dosè forzati d’Oltralpe. La Barbera d’Asti Lavignone 2022 di Pico Maccario pare quasi saltare fuori dal bicchiere con una nota di succo di ciliegia che impressiona e invita alla beva, lavanda, ribes rosso e nero, cassis e cenni di speziatura leggeri ma è in bocca che regge meglio il confronto: acidità sì ma tenuta a freno da frutto e corpo discreto, meno dall’alcol che non imperversa. Il risultato è un vino molto moderno, tanto Barbera per frutto e baldanzosità ma anche corpo agile e di beva prontissima senza gli eccessi spigolosi che ogni tanto spuntano nell’astigiano e nel Monferrato.
I vini per l'estate
La seconda coppia viene guidata dallo Champagne Rosè Boizel Rosè Absolu che con un 8 gr/lt di dosaggio non è certo secco ma cui la scelta delle uve (tra cui un 8% di Pinot Nero in rosso) e la composizione con un forte 20% di Chardonnay dona un equilibrio spostato sulle durezze molto simile alla Barbera d’Asti di Frasca La Guaragna 2021 (uve dai comuni di Nizza Monferrato, Agliano Terme e Moasca; età media delle viti 20 anni) dove il frutto giovanile lascia spazio a una certa misura di maturazione (ribes nero, mirtillo, prugne, olive) e curiose tostature ammandorlate e quasi di legno (che però questo vino vede solo di lontano). La coppia ci serve non solo per capire affinità aromatiche o gustative, che comunque si trovano eccome, quanto per capire che la versatilità a tavola richiede proprio gli elementi che li contraddistinguono ovvero corpo di media intensità ma alta aromaticità iniziale , lieve componente dolce per non esaltare note amare e piccanti dei cibi e acidità ben bilanciata per pulire e sgrassare il palato alla bisogna.
La terza coppia mette volutamente accanto due vini che nascono da un rapporto deciso con il legno nuovo e vecchio come la rarità Champagne Boizel Sous Bois 2009 (14 anni sui lieviti dopo vari passaggi in legno, dosaggio di soli 3gr/lt, 20 % di chardonnay da Chouilly, Vertus e Cramant , 50% di pinot noir da Ay, Mareuil sur Ay e Mailly, 30% di meunier da Chigny-les-Roses) e un Nizza “classico” per espressione come può essere il Prunotto Nizza DOCG Bansella 2021 (12 mesi in barrique di secondo e terzo passaggio) ottenuto dalle migliori esposizioni di Barbera del Monferrato. Il Bansella è paradigmatico del Nizza, almeno per come lo si è inteso finora, con tanta generosità al naso e frutto scuro e ancora polposo di mora, ginepro, cassis, amarene e poi liquirizia, vaniglia, pepe nero, ebanisteria ricercata da “legnone” ma che in bocca si risolve in eleganza e freschezza capace di far dimenticare gli oltre 15% di alcol. Il Sous Bois di Boizel è bottiglia rara e preziosa ma non è la cuvèe de prestige che piace a tutti e in sala ci sono diversi mugugni per le note giudicate eccessive di legno, mandorla, pinolo, vaniglia, cocco e resina ma è una vera meraviglia la sinfonia organolettica che sa esprimere con un finale pulsante e vivo dove agrumi e floreale bianco misto a miele e zafferano riemergono per molti secondi dopo la deglutizione. Non è facile imbattersi in champagne con note di legno così spiccate ma per gli amanti del genere confermiamo che si tratta di uno dei migliori della tipologia. Più facile in effetti imbattersi in Nizza che abbondano di legno e spezia ma quando risultano una componente del mix complessivo e non l’unica nota di interesse mostrano una strada interessante per la Barbera d’Asti ovvero il fatto che possa rappresentare ad alti livelli il fine wine con acidità maggiore e dal profilo più moderno oggi sul mercato.
Una sorta di Amarone per intensità e avvolgenza di frutto ma con il corpo guizzante di acidità di una vernatsch potrebbe essere un vino capace di mettere d’accordo palati più o meno giovani o addirittura avvicinare ai grandi vini chi se ne era sempre tenuto lontano.