«Questo è un mestiere che ti entra nelle vene, lo fai anzitutto perché hai una grande passione e, se è così, tutto ti viene spontaneo. L’ospite per la cultura è sacro. Io amo far stare bene le persone ed è questo che si respira da Gong». A parlare è Giulia Liu, nata a Wenzhou in Cina, nella regione dello Zhejiang, e poi approdata a Milano, dove i genitori hanno aperto Ba, il primo ristorante cinese della città che ripensa la tradizione dei dim sum. Nel 2015, assieme al marito Lorenzo, decide di aprire il ristorante Gong Oriental Attitude, in Corso Concordia (dove tra poco, finalmente, finiranno i lavori della metropolitana), e Milano capisce subito che qualcosa di rivoluzionario era arrivato a cambiare non solo il piacere del palato, ma anche il concetto di ospitalità.

Sì, perché Gong fin da subito voleva essere diverso. Lo si capisce dal nome: il gong è uno strumento a percussione di origine orientale, ma anche una disciplina cinese, il Qui Gong, che si prefigge di ristabilire l’equilibrio psicofisico. «Suonare il gong rappresenta un’iniziazione che è quello che cerchiamo di fare nel nostro ristorante – spiega la Liu -ovvero “iniziare” il cliente a una nuova visione della cucina cinese, portarlo in un viaggio emozionante all’interno di suggestioni dall’anima orientale con un twist metropolitano e contemporaneo, fatto di sperimentazione e creatività, tecniche di cottura all’avanguardia, ingredienti di altissima qualità italiani e un’estetica che mira all’essenzialità, raggiungendo l’eleganza senza far uso del superfluo».

Un ristorante che non è solo un ristorante. È un microcosmo, un piccolo mondo asiatico fortemente innovativo: «Il mio sogno nel cassetto era di proporre una cucina di ispirazione cinese ma reinterpretata in chiave più moderna e creativa. Gong racconta un po’ la mia storia: io stesso sono cinese ma cresciuta in Italia, penso di essere se non “contaminata”, molto integrata nella cultura italiana. Volevo che anche il ristorante che avrei aperto fosse riletto in questi termini, un po’ come è successo nella mia vita. Per questo Gong è un ponte tra Oriente e Occidente. Spettava a me, come seconda generazione cresciuta in Italia, raccontare questo percorso».

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L’Italia per Giulia Liu è uno dei segreti del suo successo: «Vivendo in Italia, che è la patria dell’eccellenza, dove ci sono i migliori ingredienti del mondo, capisci davvero cosa sia la qualità. Una volta che la impari è difficile lasciarla. Questo ci ha aiutato a creare nella cucina di Gong qualcosa di unico: per noi l’Italia e tutte la sue straordinarie materie prime rappresentano il nostro valore aggiunto. Non sarei riuscita a creare una cosa così speciale se fossi cresciuta in un altro Paese». Oriente, dunque, con una forte componente italiana. L’oriental attitude di Gong si percepisce appena varcata la soglia del locale e ha come ingrediente fondamentale l’accoglienza: «L’ospite è molto prezioso nella cultura orientale, per questo abbiamo un senso di ospitalità così forte, un’estrema dedizione all’ospitalità. La nostra missione è “vegliare” sul cliente dal primo istante in cui entra nel locale fino a quando ci dà i suoi saluti finali. Un’accoglienza fatta di piccoli ma fondamentali gesti ma soprattutto di disponibilità: bisogna andare incontro alle persone».

Al centro Giulia Liu con, a dx, il marito Lorenzo con tutto il team di Gong Oriental Attitude

Come si fa a essere così anche con i clienti più antipatici? «Credo che nessuno sia antipatico, basta saper prendere le persone nel modo giusto. È molto raro che capiti l’ospite ostile, è una questione di attitudine in primis del gestore e poi di tutto lo staff di sala, bisogna ascoltare le persone e aiutarle a stare bene». Filosofia da Geisha, viene da dire, pensando alla definizione della Garzanti, che recita “donna che cerca di compiacere un uomo”. Qui, però, il compiacimento è degli ospiti, del loro palato e anche del loro spirito, grazie al cibo, certo, ma anche all’atmosfera, che specialmente di sera è particolarmente suggestiva, segnata da grandi Gong di onice retroilluminati collocati in un ambiente dagli eleganti toni scuri in grado di creare un ambiente raccolto e a tratti zen.

Un team di 35 persone fa il resto. «Il segreto vero è tutto lì, trovare le persone giuste per il tuo team – spiega l’imprenditrice -, ma questo vale per qualsiasi attività. Ed è la cosa più difficile che ci sia, solitamente non si è fortunati subito, un po’ come l’amore. La squadra è la nostra più grande forza, per me ogni collaboratore è una risorsa indispensabile per offrire al cliente un senso di benessere e armonia, a tavola ma non solo, per dare ai nostri ospiti un’accoglienza totale».

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A proposito di amore, come si fa a far funzionare la famiglia con questo lavoro? «Non tutti i giorni sono rose e fiori e bisogna saper affrontare il bello e il brutto. Lavorare assieme aiuta tantissimo, perché con questo lavoro si torna a casa solo per dormire. E poi bisogna essere capaci di prendersi anche il tempo per se stessi e chi si ama, non potrà essere molto ma deve essere di qualità. Lorenzo e io, poi, abitiamo a 100 metri dal locale e questo ci aiuta. Anche mia figlia (Asia, 10 anni, ndr) va a scuola molto vicino a casa, quindi è tutto più facile da gestire, anche se senza l’aiuto di una tata non avremmo mai potuto cavarcela. Ormai è la mascotte del locale, il pomeriggio quando ha pochi compiti è sempre qui con noi, finché non iniziamo il servizio. Per poter cenare assieme, la costringiamo a sedersi a tavola alle 18.30…».  

Ma parliamo di cucina. Difficile trovare un piatto “sbagliato” da Gong, che non ti regali un’emozione, e questo a fronte di un menu decisamente vasto e articolato, che spazia dai crudi ai dim sum, dai piatti di carne a quelli di pesce, senza dimenticare il capitolo dolci, dove a spopolare, negli ultimi mesi, è Memorie di una Geisha, un dessert dalla scenografia unica, oltre che appagante, dove gli aromi di agrumi tipici dell’Asia si mischiano a golose cremosità. Qual è il segreto di un menu esteso ma infallibile come questo? «L’ampiezza del menu è possibile soprattutto perché la cucina asiatica si basa su cotture molto brevi. Poi, certo, abbiamo 15 persone in cucina e tante partite: la partita degli antipasti, che si occupa dei tagli del pesce, dei bilanciamenti delle salse e delle marinature, oltre che delle cotture dei fritti; poi c’è la partita dei dim sum, da ogni impasto vengono tirate a coltello le sfoglie di ogni singolo raviolo, poi chiuso a mano con antiche tecniche, che vanno dalla lisca di pesce al fiore, fino alla mezzaluna plissettata; quindi c’è la partita del wok, con fiamme altissime  e shock termico per bilanciare cremosità e croccantezza in un’unica padella, dove prepariamo spaghetti di soia e di riso, riso, carni e verdure; e infine la partita dei dolci, caratterizzata da un grande lavoro di ricerca».

Dalla cucina del Gong escono piatti che lasciano il segno e fanno desiderare di tornare, come il Raviolo Wagyu, il Raviolo d’Oro (dedicato a Milano) e la Peking Duck, i baci di dama orientale (sorprendenti), il mosaico di pesce, capesante e ravanelli, king crab…

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«A Milano la cucina asiatica è la seconda cucina “locale”, amatissima e immancabile nella vita dei milanesi. I locali fusion si sono moltiplicati, ma questo non ci spaventa: la competizione è sempre stimolante. La Stella Michelin? Deve essere una conseguenza, se arrivasse saremmo felicissimi, ma non lavoriamo per questo, lavoriamo perché il cliente stia bene».