I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
van da San Guido in duplice filar,
quasi in corsa giganti giovinetti
mi balzarono incontro e mi guardar

Giosuè Carducci

Il Viale dei Cipressi di Bolgheri, voluto dal conte Guido Alberto della Gherardesca per abbellire il tratto di strada dall’Aurelia al borgo, non è solo una delle strade più belle del mondo, ma è anche uno dei luoghi più cult per i wine lover, quelli da visitare almeno una volta nella vita. Su questo viale – oggi formato da 2540 cipressi, dal 1995 patrimonio Unesco e resi celebri da Giosuè Carducci nel suo componimento Davanti San Guido – da qualche anno si svolge la Cena dei Mille.

La terza edizione è andata in scena il 4 settembre: la parte bassa del viale è stata chiusa alla circolazione per ospitare una tavolata lunga un chilometro di grande impatto visivo, che ha ospitato 1200 persone, invitate a celebrare i vini di Bolgheri e, quest’anno, anche i 30 anni della denominazione. In un’atmosfera sospesa tra suggestioni da dipinti fiamminghi e opere del Romanticismo, sapori aristocratici e tratti borghesi, essere tra gli invitati di questa festa è considerato un privilegio. E così è anche se, per le prossime edizioni, che il direttore uscente Riccardo Binda (che tra poco vedremo alla guida del Consorzio dell’Oltrepò pavese) afferma di voler far attendere come le Olimpiadi, l’auspicio è che si possa tornare alla formula del primo anno: a tutti i tavoli la possibilità di degustare tutti i vini di Bolgheri presenti all’evento. Possibilità che, in questa ultima edizione, è stata concessa solamente al tavolo istituzionale, dove sedevano il ministro Lollobrigida, i master of wine e una parte dei giornalisti presenti all’evento. Tutti gli altri, non meno importanti, sedevano ai tavoli dei produttori e hanno avuto la possibilità di degustare solo i vini scelti per l’occasione da chi li ospitava. Il senso della manifestazione, però, in questo modo perde di eccezionalità. Un’alternativa potrebbe essere la formula utilizzata per la cena di gala che la Commanderie du Bontemps Medoc et Graves, Sauternes et Barsac organizza alla reggia di Versailles in occasione di Wine in Paris. Una cena eccezionale, in una location leggendaria, 700 ospiti internazionali e una selezione dei vini delle denominazioni rappresentate, serviti a tutti gli ospiti.

Ma torniamo alla nostra Cena dei Mille di Bolgheri, orgoglio italiano e momento magico destinato a rimanere nella memoria di chiunque abbia la fortuna di parteciparvi, anche grazie all’accompagnamento gastronomico non facile visto il numero degli astanti, orchestrato da un nome iconico del mondo del catering fiorentino, Guido Guidi.

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In un’atmosfera sospesa tra suggestioni da dipinti fiamminghi e opere del Romanticismo, sapori aristocratici e tratti borghesi, essere tra gli invitati di questa festa è considerato un privilegio.

E quindi, immersi tra grandi vini e squisiti sapori toscani, l’occasione è stata anche quella di fare il punto della situazione sulla denominazione – almeno in termini di numeri, che vedremo – più prestigiosa d’Italia.

30 anni di denominazione: facciamo il punto

Il Consorzio per la Tutela dei vini DOC Bolgheri e DOC Bolgheri Sassicaia nasce nel gennaio 1995 a pochi mesi dalla nascita del disciplinare dei vini rossi a fine 1994. Nel 2014 il Consorzio ottiene il riconoscimento di massimo livello dal Ministero, ricevendo l’incarico a operare erga omnes, ovvero nei confronti di tutti i produttori. A oggi, nel 2024, il Consorzio è formato da 74 produttori i cui vigneti rappresentano oltre il 99% del totale. Quasi tutte le aziende del territorio svolgono le tre fasi produttive, dalla vigna all’imbottigliamento. La produzione imbottigliata è in media di circa 7 milioni di bottiglie. Benché la zona sia molto piccola (1.370 ettari), i produttori hanno saputo valorizzare al meglio le tante sfaccettature del territorio e in pochi anni i vini di Bolgheri sono diventati tra i più apprezzati dalla critica e dal mercato globale. L’età media delle vigne è di quasi 17 anni, «segno che nel suo complesso il territorio è appena entrato nella sua maturità e che la qualità media della produzione delle vendemmie in uscita nei prossimi anni continuerà a salire».

Come valore del prodotto imbottigliato Bolgheri «è di gran lunga la denominazione col valore medio più alto in Italia» e la conferma del successo a livello globale è attestata anche dall’indice del mercato globale del vino, il Liv-Ex, che spesso vede nei primi 10 posti referenze bolgheresi.

Storia di un successo

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Benché la storia di Bolgheri sia antica e l’insediamento e la costruzione di un forte, sui cui poi sarebbe sorto il Castello, risalgano all’Alto Medioevo, il territorio in cui oggi crescono la maggior parte dei vigneti e delle aziende non si sviluppò per diversi secoli, fino a quando, alla fine del 1600, i Conti della Gherardesca non decisero di provare a dare un nuovo impulso all’area, iniziando tra le altre cose a piantare i primi vigneti pianeggianti nelle zone di San Guido e di Belvedere. Le attività agricole in generale iniziarono da questo momento a prendere piede e ai due luoghi già citati altri impianti furono realizzati nelle località di Gratta-macco, Lamentano, Sant’Agata, Castellaccio, Casavecchia e Felciaino. Sicuramente il personaggio che più di tutti contribuì allo sviluppo del territorio come un’area vocata alla viticoltura e all’agricoltura in generale fu Guidalberto della Gherardesca. Guidalberto, oltre ad aver creato il famoso Viale dei Cipressi che congiunge Bolgheri a San Guido, ristrutturò i vigneti del tempo secondo le più aggiornate conoscenze agronomiche e ne piantò di nuovi, delineando la prima bozza di quella che sarebbe diventata la mappatura delle prime aziende vinicole di Bolgheri. Tra questi nuovi impianti vale la pena citare quello della Capanne a Castiglioncello del 1816. Non a caso, proprio per la sua abilità mostrata anche in campo vitivinicolo fu nominato nel 1833 Bottigliere di Corte del Granduca di Toscana Leopoldo II. Purtroppo, le innovazioni introdotte da Guidalberto furono bruscamente interrotte nella seconda metà del 1800 da malattie arrivate dall’America quali oidio, peronospora, ma soprattutto fillossera. La viticoltura, che a Bolgheri aveva iniziato a fiorire con grandi prospettive da circa due secoli, si ritrovò quindi all’inizio del XX secolo a essere quasi tornata a un punto zero.

A rivoluzionare la storia moderna di Bolgheri fu il Marchese Mario Incisa della Rocchetta, piemontese da un lato e romano di discendenza Chigi dall’altro, che si trasferì in Toscana avendo sposato la Contessa Clarice della Gherardesca nel 1930. Nello stesso anno, la sorella di Clarice, Carlotta, andò in sposa al Marchese Niccolò Antinori. Questi due nuclei famigliari si divisero quindi la più grande tenuta di Bolgheri.

In una zona dove i vini rossi che si producevano erano per lo più rustici, Mario Incisa volle provare a creare un nuovo tipo di vino, ispirato dal modello qualitativo dei vini francesi che era abituato a bere e apprezzare. Prelevò dai Duchi Salviati, a Migliarino Pisano, delle marze di Cabernet (un clone italiano dunque) che impiantò nel 1942 e successivamente nel 1944 a Castiglioncello di Bolgheri, in una zona protetta dal vicino mare, al quale si attribuiva, erroneamente, la colpa della cattiva riuscita dei vini locali. Gli abitanti del posto, abituati a bere a febbraio il vino della vendemmia precedente, non riuscivano a capire questo vino e gli esperimenti ritenuti stravaganti del Marchese. Il vino del Marchese Mario rimase un fenomeno limitato al consumo della famiglia e di pochi intimi amici fino agli fine degli anni ’60. Al tempo, infatti, il Marchese Piero Antinori (nipote del Marchese Mario e figlio di Niccolò Antinori) sottopose allo zio l’idea di iniziare a vendere quel vino. La commercializzazione fu dunque affidata ai Marchesi Antinori, presso cui già lavorava un giovane enologo chiamato Giacomo Tachis, che iniziò da quel momento a collaborare con Mario Incisa nella fattura del vino. Nel 1972 vide la luce il primo Sassicaia ufficiale, della vendemmia 1968. Già soli due anni dopo, Gino Veronelli si innamorò di quel vino e cominciò a farlo conoscere al mercato italiano. I successi non furono solo nazionali. In una degustazione alla cieca della rivista Decanter, infatti, il Sassicaia 1978 sbaragliò tutti gli altri Cabernet del mondo presenti, ma è con l’annata 1985 e i primi 100 punti assegnati da Robert Parker a un vino italiano che il mito si consacra.

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Grazie all’incontro col Marchese Mario, infatti, Tachis mise a frutto le sue competenze per creare vini con la medesima filosofia anche in altre zone, prime tra tutte altre due iconiche etichette toscane quali Tignanello e Solaia prodotti nel Chianti Classico.

Fino agli anni ’70 la storia dei vini rossi di stile bolgherese può essere ricondotta esclusivamente al Sassicaia: bisogna attendere il 1978 quando anche altri soggetti iniziano a percorre le orme tracciate dal Marchese Mario. È curioso notare che tutte le persone che per prime furono ispirate dal Sassicaia non erano del posto (come lo stesso Marchese Mario del resto). Primo di questa lista è Piermario Meletti Cavallari, che si trasferisce a Castagneto da Bergamo nel 1977 e crea il Podere Grattamacco nell’omonima località. Michele Satta, da Varese, arriva appena dopo e dà in seguito vita ad una propria azienda dopo aver ampiamente lavorato sul territorio come fattore. In una parte della tenuta Belvedere, il Marchese Lodovico Antinori crea Ornellaia, mentre il fratello maggiore Piero Tenuta Guado al Tasso. Unica persona nativa di Bolgheri in questo gruppo è Eugenio Campolmi, che fonda Le Macchiole. Le aziende vinicole del tempo sul territorio non si esauriscono qui, tuttavia queste sono le prime ad avere sperimentato da subito il modello bolgherese, gettando dunque le basi per un movimento che a quel punto non coinvolgeva più un solo vino, ma piano piano un territorio. L’aumento del numero di etichette accomunate da un’alta qualità e dall’impossibilità di ricevere una qualsiasi forma di tutela stigmatizzò ancora di più l’inadeguatezza del disciplinare del 1983. Bisogna però aspettare fino al 1994 prima della tanto attesa modifica con cui si riforma la DOC, rendendo ammissibili i vini rossi, che tra l’altro utilizzano in blend uve come Cabernet e Merlot. Contestualmente viene inserita nel disciplinare anche la sottozona Bolgheri Sassicaia, che precisa tra le altre cose i limiti territoriali a ridosso dell’abitato di Bolgheri in cui poter produrre questo vino, ricadenti all’interno della Tenuta San Guido.

Pochi mesi dopo, nel gennaio 1995, viene fondato il Consorzio per la Tutela dei vini DOC Bolgheri. A rivestire il ruolo di Presidente, da allora sino al suo ritiro, è il Marchese Nicolò Incisa della Rocchetta. Gli altri sei membri fondatori, oltre ai già citati Satta, Campolmi e Meletti Cavallari, sono Rosa Gasser, Enio Frollani e Federico Pavoletti.

Bolgheri in numeri

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Ingredienti 35 ml Grappa K24 Liquid Gold 30 ml Lime 20 ml Liquore Ancho Reyes Red 20 ml Sciroppo di zucchero di canna 2/3 gocce di Orange Bitter 1 Lemon…

Superficie vitata totale: 1.544ettari, di cui 1.365 a DOC

Età Media delle vigne: 16,7 anni

Densità media per ettaro: 5.500ceppi

Percentuale vigneti rivendicabili biologico: 40%

Forme di allevamento principali: Cordone Speronato (77 %),Guyot (20%)

Base ampelografica: Cabernet Sauvignon (34 %), Merlot (22 %), Cabernet Franc (16 %), Vermentino (10 %), Syrah (6,5 %), Petit Verdot (5 %), Viognier (1,5%), Sauvignon Blanc (1 %), Sangiovese (1 %)

Bottiglie prodotte annualmente in media: 7.000.000, di cui circa il 64% di Bolgheri Rosso, il 19% di Bolgheri Superiore(e Bolgheri Sassicaia), il 12% di Bolgheri Vermentino e Bolgheri Bianco e il 5 %di Bolgheri Rosato.

Valoremedio a bottiglia all’origine: 21,00 €, di gran lunga il più alto in Italia

Valore annuo della produzione all’origine:150.000.000 €