La degustazione di Pinot Nero condotta da Martin Foradori della cantina Hofstätter e dall’americano David Adelsheim non è stata solo tecnica, ma avvincente. Martin ha invitato il campione statunitense del Pinot Noir in Italia, con le sue bottiglie espressione del vitigno coltivato e vinificato in Oregon. Vini dell’altro mondo dunque, che hanno un denominatore comune con alcune tra le migliori espressioni della medesima varietà in Italia. O meglio a Mazon, l’area più dedicata al Pinot Nero in Alto Adige. Luoghi lontanissimi, eppure in termini di produzione le due regioni vitivinicole hanno in comune una produzione molto bassa. Il Pinot Noir dell’Oregon rappresenta solo l’1% della produzione totale negli Usa, così come più o meno quella dell’Alto Adige in relazione al resto dell’Italia. Ma i piccoli numeri, fanno sovente grandi i vini.

La viticoltura in Oregon comincia sostanzialmente negli anni Sessanta, ma nel decennio successivo vi era solo una manciata di aziende. Oggi più o meno in Oregon ci sono intorno alle 600 cantine. David Adelsheim, vigneron dal 1971 è dunque un pioniere. Inoltre, ci ricorda Martin Foradori durante la degustazione, che in Oregon i vigneron hanno cominciato molto presto a praticare due cose molto importanti: confrontarsi tra loro regolarmente, con degustazioni condivise e scambi di pareri sui loro vini. Un modo, insomma per crescere al meglio insieme. Secondo, hanno cominciato molto presto a sviluppare la zonazione e la parcellizzazione delle vigne, formalizzandola.

Ma infine sono i vini a parlare. E fanno venire i brividi a chi non ha mai assaggiato i Pinot Noir dell’Oregon. Per non parlare di quelli di Adelsheim. Vini che hanno tra l’alto dei sentori fruttati gustosissimi, come la prugna secca. Abbiamo assaggiato due annate (2008 e 2019) del Pinot Noir Quarter Mile Lane che nasce nell’AVA ( American Viticolture Ara) delle montagne di Chehalem; il crus Pinot Noir Ribbon Springs Vineyard 2019, sapido, anche esso con un gran frutto, ma insieme di rara finezza. Come fosse un vino scolpito da un abilissimo artigiano. Infine, David Adelsheim ci ha donato l’assaggio di un vino praticamente introvabile, ma che testimonia la longevità delle sue “opere”, il Pinot Noir Elizabeth’s Reserve (Yamhill County) del 1986.

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Il percorso sul Pinot Nero non poteva quindi non proseguire con un tris di bottiglie di Hofstätter. Tra le due aziende non c’è competizione. Sarebbe assurdo sostenere che i vini dell’uno siano migliori di quelli dell’altro. Il bello è riconoscere affinità e differenze. L’affinità consiste nell’approfondimento del concetto di vigna di entrambi i produttori, sia pure in contesti diversi. Concetto che per esempio Hofstätter ha sviluppato molto prima di altri in Alto Adige, proprio a cominciare dal Pinot Nero. Altra affinità: oggi si parla tanto di eleganza dei vini. Ma per entrambi i produttori la finezza è un imperativo categorico da più di un decennio. Forse ci sarebbero anche altre affinità da sottolineare. Le differenze ci sono eccome sia per ragioni macroscopiche, l’Oregon non è l’Alto Adige e in particolare l’Altopiano di Mazon non è l’Oregon, sia per altri semplici motivi, ogni viticoltore dà una propria personale impronta ai propri vini. E ognuno nel bene e nel male è condizionato dalla storia personale. Martin Foradori si è formato accanto a un padre con un talento e un’indole formidabili. Paolo Foradori, appassionato del volo, anche come viticoltore amava volare alto, contribuendo a dare una collocazione importante in Italia e all’estero del Pinot Nero di Mazon.

Hofstätter ha dunque presentato alcune bottiglie iconiche altoatesine. Pinot Nero Barthenau Vigna S. Urbano (nelle due annate 2007 e 2017) e il Vigna Roccolo Pinot Nero 2017. Se si riflette sul fatto che il bisnonno di Martin Foradori fino al 1958 vendeva le uve di Pinot Nero per tagliare la Schiava si comprende “quanto vino è passato sotto i ponti”. La viticoltura, insomma, è profondamente mutata. E Paolo Foradori ebbe il merito, non solo di puntare sul Pinot Nero, ma anche di individuare specifiche vigne vocate per la coltivazione del vitigno. Sant’Urbano nasce da un impianto del 1962, più una parcella del 1990. Vigna Roccolo da vigna a pergola trentina del 1942. Ma anche le lavorazioni in cantina sono volte all’ottenimento di grandi vini. Il Barthenau Vigna S. Urbano, infatti,  è sottoposto in du fasi di maturazione in legno, prima in piccole botti di legno per circa un anno, quindi avviene l’assemblaggio delle barriques in botte grande di rovere francese per 12 mesi e dunque un ulteriore affinamento in bottiglia per 8 mesi. E molto simile è il processo di affinamento del Roccolo, anche se con variazioni di tempo sulle maturazioni in legno e in bottiglia dove affina per almeno 12 mesi.



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