Due cuori e un vigneto
Che cos’è l’amore? Poeti, filosofi e cantanti ne hanno da sempre scritto. Un tema che affascina e conquista ma che sfugge a qualsiasi definizione univoca. Il termine “amore” ha sempre fatto parlare, discutere, proprio per la sua astrattezza. L’amore può essere anche quella forza creatrice da cui si genera, non solo una vita, ma anche un sogno, un progetto.
Dall’amore di due persone possono nascere grandi idee, non solo bambini. Anche cantine e vini. Il settore è ricco di coppie del vino di ieri e di oggi: noi ne abbiamo scelte nove e ve le raccontiamo.
Per orgoglio italiano partiamo dalla storia di Fontanafredda, che sorge in Piemonte tra le splendide colline delle Langhe, a Serralunga d’Alba. Fu acquistata nel 1858, da Re Vittorio Emanuele II, per essere regalata a Rosa Vercellana, la giovane amante dalle umili origini, conosciuta come la “bela rusin”, che chiese, volle e ottenne, come pegno d’amore, la Tenuta Fontanafredda. La tenuta divenne il bucolico luogo d’amore tra Vittorio Emanuele II e la bella contadinella dalle prosperose forme e i lunghi capelli corvini: dal loro amore nacquero due figli, Vittoria ed Emanuele Alberto. Nel 1866 il Re acquistò la prima vigna a Barolo e da qui il nome “Tenimenti di Barolo e Fontanafredda”, ma fu il loro figlio, il Conte Emanuele Alberto, a capire la vocazione di Fontanafredda, e iniziò a piantare vigneti, Nebbiolo e Barbera, per un totale di circa 300 ettari coltivati. La prima vinificazione fu del 1870 e nel 1886 il Barolo venne esportato oltreoceano. Proprio a Fontanafredda, nel 1887, vennero installate le prime vasche in cemento.
Facciamo un salto in Francia dove troviamo Barbe-Nicole Ponsardin Clicquot andata in sposa a François Clicquot, affascinante anticonformista che decide di vivere tra i vigneti. François, innamorato della giovane moglie, le vuole trasmettere la passione per la vigna e il vino, lei ne rimane affascinata dimostrando un talento innato per la viticoltura. In un momento di varie complicazioni per i raccolti, François muore a causa di un eccesso di medicinali e oppio. Il suocero Philippe vorrebbe vendere le vigne, ma, a soli 27 anni, Barbe-Nicole è determinata a portare avanti il sogno vitivinicolo di François, diventando una delle prime donne imprenditrici di sempre. In un’epoca in cui le donne erano escluse dagli affari, osa assumere la direzione dell’azienda, ma non solo: è a Barbe-Nicole che si devono tre innovazioni che rivoluzionarono la produzione dello Champagne: lo Champagne vintage, la table de remuage e il primo Champagne rosé per assemblaggio. Soprannominata “la Grande Dame della Champagne”, nel 1972 esce la prima annata della cuvée de prestige Veuve Clicquot, che porta il nome de “La Grande Dame”.
Dire "ti amo" con un piatto di pasta
Da “La Grande Dame” a “Madame Martis” di Maso Martis, un’azienda nata dall’amore tra Antonio Stelzer e Roberta Giuriali a cui la cuvée è dedicata. Giovanissimi Antonio e Roberta si incontrano per la prima volta nel 1987 durante una vacanza in ex Jugoslavia, un amore a prima vista che, come in una favola, venne sigillato con il primo bacio durante la notte di S. Lorenzo del 1987. Negli anni Ottanta il padre di Antonio acquistò 12 ettari di terreni a Martignano. Fin da subito Antonio si dedicò alla costruzione del vigneto e per questo, nel 1990, il padre decide di affidare l’azienda agricola a lui e alla fidanzata Roberta, che insieme decisero di intraprendere la strada più difficile, ossia quella della spumantizzazione. Attrezzata la cantina con il minimo indispensabile prende il via la storia di Maso Martis, con a capo Roberta e Antonio, che si sposarono nel 1992 e poco dopo nacquero le due figlie Alessandra e Maddalena. Fin dagli esordi, Antonio e Roberta avevano le idee chiare su quello che volevano produrre, ossia quasi esclusivamente spumante Metodo Classico, aderendo da subito al disciplinare della Doc Trento, una grande sfida a quel tempo. La cuvée di Madame Martis nasce nel 1999, con il desiderio di creare qualcosa di unico. Pochi pezzi prodotti e solo nelle migliori annate con lungo affinamento sui lieviti e un’accurata selezione delle uve, coniugando l’eleganza del Pinot Nero con la fragranza dello Chardonnay e la morbidezza del Pinot Meunier.
Dalla notte di San Lorenzo al vino San Lorenzo di Sassotondo il passo è facile, un’azienda che nasce dall’amore tra Carla Benini ed Edoardo Ventimiglia. Nel 1989, per il loro primo anniversario di matrimonio, trovarono a Sovana il luogo perfetto per realizzare il loro sogno campestre. Lei agronoma trentina, lui romano e regista di documentari, appartenente a una dinastia storica di “cinematografari”, stanchi della vita di città cercavano un “buen retiro”, ritmi diversi e l’energia che solo la natura può donare. Originariamente l’azienda aveva un corpo di 65 ettari e 1 ettaro di vigneto. Sassotondo nasce e cresce dalla passione e dal modo di essere di Carla ed Edoardo, si contraddistingue per scelte contro corrente, come quella di puntare sul Ciliegiolo, vitigno autoctono della Maremma Toscana un tempo quasi dimenticato. Nasce così San Lorenzo ottenuto dalla miglior selezione di uve Ciliegiolo di un vigneto di circa 60 anni.
Rimanendo in Toscana ecco che sempre seguendo intuito e passione troviamo la storia di Eugenio Campolmi che grazie all’indispensabile supporto della moglie Cinzia Merli, allora fidanzata, nonostante una non certo celata opposizione dei genitori, iniziò l’avventura che porterà alla nascita de Le Macchiole. Tutto iniziò nel 1983 quando Eugenio compra i primi terreni sulla Via Bolgherese e pianta 4 ettari di vigneto e a distanza di poco, nel 1989, esce Paleo Rosso: un grande vino simbolo della cantina e una delle etichette più rappresentative del bolgherese. Nato come classico taglio bordolese, diventerà un Cabernet Franc in purezza nel 2001, conquistando ben presto un clamoroso successo. Il nome richiama quello di un’erba spontanea della costa toscana, a simboleggiare identità territoriale e caparbietà nel raggiungere ogni traguardo. Con la prematura scomparsa di Eugenio nel 2002 l’azienda da allora è gestita con determinazione e grande lungimiranza da Cinzia, che l’aveva fondata e costruita insieme al marito. Ma i primi anni non furono semplici. Le prime due vendemmie per la siccità, non andarono bene, ma nel 2004 gli sforzi vennero premiati. Paleo 2004, secondo i punteggi di James Suckling e Wine Spectator, prese il massimo punteggio, cento centesimi.
Istruzioni per un San Valentino rovente
Discorso diverso per la Tenuta J. Hofstätter dove si sono succedute quattro generazioni con quattro storie d’amore. Un’azienda che sorge nel centro di Tramin-Termeno, in Alto Adige, tra le spesse mura di un’imponente costruzione del XVI secolo in provincia di Bolzano. Fondata nel 1907 da Josef Hofstätter e da sua moglie Maria, dopo di loro si sono avvicendate alla guida altre tre coppie, ognuna delle quali ha segnato un passo decisivo nell’evoluzione di questa azienda nota in tutto il mondo soprattutto per i suoi Pinot Nero e Gewürztraminer. Konrad e Luise, rispettivamente il fedele collaboratore e la nipote di Maria e Josef Hofstätter, rilevarono le sorti della tenuta di famiglia poco dopo il loro matrimonio. Pioniere della viticoltura altoatesina, Konrad Oberhofer iniziò a vinificare separatamente le uve dei vigneti più vocati, gettando le basi della filosofia della tenuta J. Hofstätter. La loro unica figlia, Sieglinde, sposò nel 1959, Paolo Foradori, discendente di una famiglia di viticoltori trentini. Il loro matrimonio portò all’unione le loro proprietà, situate sulle sponde opposte della Valle dell’Adige. Nel 1987, con la creazione del Vigna S. Urbano Pinot Nero, Paolo Foradori introdusse per la prima volta in Alto Adige la classificazione Vigna. Il loro figlio, Martin Foradori Hofstätter, prende le redini dell’azienda vinicola nel 1992 insieme alla moglie Beatrix. Martin guida l’azienda vinicola di famiglia raccogliendo l’eredità del padre Paolo, noto come il padre del Pinot Nero italiano, e a lui è toccato il compito di traghettare l’azienda verso una nuova era, intraprendendo anche nuove iniziative imprenditoriali in Mosella – con l’acquisizione della storica azienda Dr. Fischer – e in Trentino con il progetto Maso Michei.
C’è stato un tempo in cui la terra veniva considerata un bene prezioso non soggetto a svalutazioni, un bene talmente importante da essere dato in dote. Da qui inizia la storia di Vigna Litina, che prende il nome a ricordo di quella zia che nel patto di matrimonio aggiunse al corredo ricamato anche una vigna. Ci troviamo a Cascina Castlèt a Costigliole d’Asti, in Piemonte e qui Mariuccia Borio a ricordo della storia di questa vigna produce un vino dedicato a zia Litina, che non sapeva nulla di quotazioni di borsa o investimenti, ma sapeva che da quei filari ben lavorati si sarebbero raccolti turgidi grappoli di Barbera. Ora Litina è un vino che porta il nome lieve di una donna che sapeva quanto vale la terra ben curata, da amare come un uomo, anno dopo anno, vendemmia dopo vendemmia, simbolo e pegno d’amore.
Ma amore è anche rinuncia. Lo sapeva bene l’ingegner Boffa che nel 1940 sposò Rosy, figlia unica di Giuseppe Pio che era succeduto al padre nella direzione della Cantina Pio Cesare. Giuseppe Boffa, un ragazzo di umilissime origini ma dalla spiccata intraprendenza, si laurea in ingegneria e inizia un’importante carriera a Milano. Per amore della moglie decise di lasciare la sua professione per dedicarsi alla Cantina Pio Cesare con grande passione e determinazione. Sono gli anni della Seconda Guerra Mondiale, a cui seguono quelli della ricostruzione e del boom economico. Grazie allo spirito e all’impulso imprenditoriale dato da Rosy e Giuseppe, la Pio Cesare incontra una nuova vita molto florida e il Barolo Pio Cesare è conosciuto in Italia e all’estero come la quinta essenza dei vini albesi. Rosy e Giuseppe ebbero 3 figli e grazie a loro il marchio Pio Cesare crebbe in fama e notorietà sul mercato nazionale e internazionale. Rosy è stata parte di una generazione molto longeva, è infatti mancata a 98 anni (bevendo Barolo e Barbaresco tutti i giorni a pranzo e a cena), vivendo tantissimi momenti della storia contemporanea e documentandosene fino agli ultimissimi giorni della sua vita, discutendo ancora di lavoro fino agli ultimi attimi. Il suo carattere è ben descritto nel vino Piodilei dedicato alle donne Pio, uno Chardonnay caratterizzato da risolutezza e struttura, eleganza e raffinatezza.
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Chiudiamo la carrellata con una delle coppie più belle del mondo del vino italiano. Solo che loro non lo producono, bensì lo distribuiscono. Roberta Cenci e Saverio Notari (proprietari di Compagnia del Vino, che importa in esclusiva per l’Italia, tra gli altri, lo Champagne Pol Roger e gli iconici vini alsaziani di Hugel) si sono incontrati molti anni fa durante una fiera a Berlino, dove entrambi partecipavano come espositori. Galeotto fu il Ciliegiolo, con cui Saverio attaccò discorso con quella che ben presto sarebbe diventata sua moglie. «Abbiamo iniziato a lavorare insieme nel 2010 – racconta Roberta -. Per un primo periodo dopo il matrimonio abbiamo mantenuto separate le vite professionali ma è stata una fase di transizione più che altro per gestire i tempi, il trasferimento per me era inevitabile. Ho lasciato il precedente impiego (una realtà dove la produzione, l’export e l’incoming erano aspetti determinanti) per dedicarmi in Compagnia del Vino allo sviluppo e alla pianificazione. Il mondo del vino visto da un’altra angolazione, non meno interessante». Come coniugare lavoro e famiglia? Con ruoli definiti, conoscendo i propri limiti, avendo stima reciproca: «E poi ci piacciono le stesse cose. Con questi presupposti puoi fare grandi cose. La competenza è stata quella che mi ha portato all’inizio a occuparmi dei mercati esteri ma sicuramente poi la mia attitudine, mi ha spinto verso un ruolo più gestionale che operativo. Saverio era invece già CEO quando sono entrata nel team e devo dire che ancora oggi il vero ruolo strategico soprattutto sul lungo periodo è il suo».
Qual è il segreto per lavorare in armonia con il proprio partner? «La stima, la stima, la stima è fondamentale. Solo così possiamo alimentare la fiducia, rispettare i ruoli, evitare sovrapposizioni destabilizzanti per l’azienda. Dovrei aggiungere che manteniamo separate vita domestica e dinamiche di ufficio? Impossibile! Anche perché a cena che fai… non lo bevi un bicchiere di vino?».