“Dal 12 dicembre 2002 ci avete regalato sorrisi e serate indimenticabili”. Il Rita & Cocktails di Milano celebra i suoi primi 20 anni con una carta di drink che ripercorrono la sua storia, una carta tutta da bere e dedicata a vecchi e nuovi ospiti,  in cui ogni cocktail è presentato con un breve, a volte fulminante, racconto. Da qualche anno di fronte al Rita, sui Navigli, i due soci fondatori Edoardo Nono e Gianluca Chiaruttini, hanno anche aperto il Rita’s Tiki Room. Un locale con un format differente, ma che ha come comune denominatore un nuovo liquore, Mr.Three & Bros Ginger Falernum.

«La storia del Falernum ha aspetti notevolissimi – ricorda Edoardo Nono – e risale alla prima metà dell’Ottocento. Il suo luogo di nascita sono le Barbados». Il Falernum non va confuso con il vino Falerno di cui scrive già Plinio e che Orazio descrive come “ardente, focoso, forte”. Ma quante suggestioni contengono questi arditi accostamenti. Se il Falerno nostrano era il vino preferito dai Cesari, il nome del Falerno delle Barbados s’ispira invece alle piante giganti di Ficus con le radici aeree, che a distanza assomigliano a busti di uomini barbuti. Come il ficus di Piazza Marina a Palermo, il più grande d’Europa. Tanto per farcene un’idea. La ricetta originale del Falerno, nasce probabilmente con l’abolizione della schiavitù, quando il rum diventa accessibile anche ai livelli sociali più bassi. La ricetta base è appunto composta da rum, zenzero, spezie, mandorla amara, lime, limoni e zucchero. E nella mixology contemporanea ha una notevole versatilità (qui sotto trovate la ricetta di un drink).

Nono, partiamo dal principio del Rita…

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«Quando è nato il Rita, Ripa di Porta Ticinese di Milano era certamente più romantica. Il Naviglio è cambiato e noi in parte ci siamo adeguati. La nostra offerta si è rinnovata e la clientela pure. Tuttavia, siamo sempre restati coerenti cn il nostro progetto iniziale. Qualitativo e con un occhio particolare alla materia prima. Sono cose che ormai ripeto come una catechesi. E il Rita continua a suo modo di fotografare una Milano, che è anche cambiata molto dal punto di vista turistico».

Quanti clienti stranieri avete oggi?
«Almeno il 30 per cento».

Gli stranieri consumano di più?
«Noi abbiamo anche ospiti italiani che ordinano più di un cocktail, ma gli stranieri hanno una cultura sulla miscelazione certamente più esigente e sviluppata. E hanno la tendenza a trascorre la serata al bar, sedersi al bancone e provare più di un drink».

Qual è stata la scintilla che ha prodotto la fondazione del Rita?
«Il minimo comune denominatore mio e di Gianluca Chiaruttini, che oggi segue un altro progetto, è stato quello di portare un’offerta che al momento non c’era. Proporre cocktail di qualità con materie prime veraci, fresche, naturali e ricercate, lavorare in casa gli ingredienti, alzare il livello medio. E questa cosa ha avuto anche i suoi riflessi sulla cucina. Oculata e attenta. Non il solito happy hour. Abbiamo sostituito il buffet con un aperitivo completo servito al tavolo e non casuale. Così abbiamo attratto ospiti che facevano più attenzione alla qualità che alla quantità».

In vent’anni di storia qual è il cocktail a cui sei più affezionato?
«Il Gin Zen, per noi resta un’icona. Infatti, abbiamo dedicato una grande scritta che recita: “House of Gin Zen 2002”, qui è stato inventato e ancora oggi rappresenta quasi il 10 per cento delle richieste. Infatti, un giorno mi piacerebbe impostare un “contatore zen” e registrare fino a un milione di ordini del drink. Come il Campari shakerato del Camparino e il Negroni Sbagliato del Bar Basso, ci piacerebbe fare parte di quegli standard milanesi».

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In questi ultimi anni mi è parso di notare che fate più sistema tra bartender e locali milanesi, è così?
«Lo confermo. È una cosa molto interessante, una tendenza sostenuta anche dai social. Vedi certi eventi come il Gin Day e l’Agave Experience e altri. Hanno coinvolto un po’ tutti i locali e i bartender e ci hanno consentito di dialogare e confrontarci. E da un po’ di anni chi di noi si dedica a una miscelazione di qualità ha in qualche modo formato una community che non è solo imprenditoriale. Ci ospitiamo reciprocamente in diverse serate a tema e così via».

Rita’s Tiki Room

Tra gli aspetti che vi caratterizzano c’è quello dell’autenticità.
«Probabilmente dipende tra l’altro da un turnover di personale limitato e anche un grande aiuto me lo ha dato Chiara Buzzi, che porta un forte contributo, emotivo, emozionale, professionistico e ha un approccio, per la sua età, molto moderno, sul pezzo. E ci ha aiutati a imprimere una certa accelerazione, anche nella comunicazione. Quando abbiamo aperto e per diversi anni, non ci preoccupavamo di fare comunicazione. Anzi comunicare il locale significava non comunicarlo, stavi il più possibile nascosto e le persone venivano a cercarti. Adesso è tutto il contrario, se non appari, rischi di essere percepito come scomparso».

Qualche nota sulla miscelazione contemporanea.
«Ci sono delle tendenze importanti come i drink alla spina, i drink pre-batched, e possono essere anche prodotti di qualità. Per esempio nei locali molto frequentati può aiutare ad alzare l’asticella della qualità. Noi per esempio stiamo collaborando con Panino Giusto, proprio per offrire un percorso di pairing originale, con ricette di cocktail, facili e immediati, ready to drink e la loro proposta food».

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Nella miscelazione contemporanea ci sono anche tante evocazioni storiche e letterarie.
«È fondamentale, perché il racconto rappresenta un po’ l’estetica del bartender. Creare suggestioni e vivere un percorso esperienziale. Questa cosa funziona molto bene al bar e al bancone, ma è più problematica in sala. Quindi creare delle carte drink che contengano suggerimenti e suggestioni è molto importante».

La ricetta
Mr Three Daiquiri
10 zucchero liquido
25 succo di lime
15 Falernum Mr Three and Bros
60 white rhum

Shake & strain
Guarnire con fettina di lime
Coppa Martini