Nel XXI secolo è ancora possibile inventare nuovi formati di pasta? Anche se potrebbe sembrare strano, basta provare a chiedere all’ufficio brevetti dove decine e decine di “prototipi” sono registrati, alcuni anche firmati da grandi nomi del design italiano e internazionale, sembra proprio di sì. Di novità, quindi, ce ne sarebbero veramente tante ma guarda caso la stragrande maggioranza delle volte, per non dire sempre, non arrivano mai al torchio.

Un formato di pasta non deve essere solo bello, particolare, strano ma anche e soprattutto funzionale e rispettoso di una serie di parametri ben specifici. Ricordiamone alcuni: deve essere a suo modo bello, deve mantenere la forma e cuocere uniformemente, si deve però scolare dall’acqua di cottura in modo veloce e pratico e parallelamente deve sapere raccogliere il sugo o il ragù. Altre caratteristiche fondamentali perché possa essere messo in commercio è che la parte liquida del condimento possa uscire ma tenendo le pezzature più grandi e, infine, sarebbe bene non si impilasse o attaccasse. Non sono poche, e nemmeno banali, le caratteristiche appena elencate e per questo se difficilmente sugli scaffali dei supermercati o nei piatti dei ristoranti troviamo forme nuove di uno dei simboli indiscussi della dieta mediterranea e della cultura italiana, un motivo c’è. Almeno questo è successo fino a l’altro ieri quando, invece, qualcosa di nuovo, in termini di pasta, ha fatto breccia. Siamo a cavallo del 2017…

L’Imbutino nato per caso

Stiamo parlando dell’Imbutino di Ozzano dell’Emilia (Bo). Un’intuizione del tagliere emiliano, di fatto lo si può definire un maccherone, nata grazie all’estro di Flavia Valentini, ex infermiera con la grande passione per la cultura gastronomica. Un puro caso che è però diventato fatto, anzi forma. «È nato veramente tutto così all’improvviso. Girando per mercatini di cose vintage e antiche – racconta l’ideatrice – mi sono imbattuta in uno strano oggetto simile alla rotella per tagliare la pasta ma con una forma strana. Un attrezzo che non avevo mai visto prima e che mi ha incuriosito». Fatto l’acquisto, di questo “tagliaqualcosa”, come ha la stessa Valentini ribattezzato la rotella, ce ne sono tre in tutto il mondo uno a Ozzano e due in Sudamerica, è partita la curiosità del suo utilizzo.

Da uno “sbuzzo” creativo all’esclamazione: Ecce Imbutino!

«Una volta a casa ho iniziato a preparare un impasto a base di semola di grano duro. Dopodiché ho passato sopra alla sfoglia questo strumento e tra le mani mi sono ritrovata un cerchietto di pasta. Da bolognese doc mi è poi venuto spontaneo chiudere i dischetti con il gesto con cui si chiudono i tortellini» e la magia dell’imbutino è nata.

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Una macchina per gli imbutini

Adesso però è stato fatto anche un altro salto. Dopo diverso tempo, tra Covid e difficoltà varie nel reperire aziende che potessero sposare l’idea di dare forma “industriale” a questo formato di pasta, da qualche anno gli imbutini non vengono fatti solamente dalle mani, chiusi sull’indice, delle azdore emiliane, ma da una macchina. «Non è stato facile – spiega Valentini – riuscire a trovare qualcuno che potesse, con delle pretese economiche in linea con una persona come me, non sono mica un’azienda (ride), dare la possibilità di sviluppare in modo più quantitativo la produzione. Grazie però alla mia ferma determinazione e alla disponibilità di Luca Tommasi di San Giorgio di Piano, progettista meccanico che ha disegnato e prodotto il macchinario, e dopo alcuni esperimenti per la creazione di prototipi abbiamo trovato la soluzione. Questa macchina – racconta – è ancora dimensionata per una produzione artigianale, quella per intenderci che ci permette di realizzare una sagra a Ozzano, quest’anno arrivata alla sua seconda edizione, o per soddisfare richieste “domestiche” o di qualche ristorante che crede negli imbutini. Stiamo parlando di circa 70 kg di imbutini all’ora. Ma non demordiamo perché i feedback sono sempre molto positivi».

Caratteristiche

Gli imbutini hanno 306 kl calorie per 100 gr di prodotto. Le caratteristiche fisiche di questo maccherone sono quelle di essere realizzato partendo da un disco di sfoglia di 3,7 centimetri per 2 millimetri di spessore. La sua forma a cono con una punta piegata e una apertura in fondo permette il passaggio dell’acqua rendendo la pasta uniforme nella sua cottura (per la versione fresca servono circa 4 minuti). Inoltre anche da cotto mantiene perfettamente la forma raccogliendo in modo efficace qualsiasi tipo di condimento. Infine la parte liquida del sugo, quella che molti chiamano anima, esce dal foro all’apice del cono e nell’imbutino rimane la parte più ricca del condimento. «La sfoglia all’uovo poi – ci tiene a rimarcare la madre dell’Imbutino ozzanese – può essere arricchita con puree vegetali, ortica, rapa rossa, mallo di noce. In questo modo si arricchisce di profumi e sapori del territorio. Molto caratteristico è il formato impastato con del Romagna Sangiovese Doc, ma può trovare perfetta sintonia d’impasto utilizzando con farine speciali integrali, di farro, e, perché no, anche di semola rimacinata». Per quanto riguarda il condimento migliore Valentini non ha dubbi: «stanno bene, ma proprio tanto, con tutto: dal sugo di pomodoro al ragù tradizionale arrivando fino al pesce. Tutti quelli che li hanno provati non se li dimenticano».

Visto il grande successo ottenuto dai palati e dalla critica gastronomica, gli Imbutini sono stati dichiarati prodotto tipico della città. Ma non solo. Questi maccheroni homemade possono fregiarsi, assieme ai tortellini, alle tagliatelle e ad altri mostri sacri dell’artigianalità in cucina, del riconoscimento della certificazione De.Co Bologna. Una Denominazione Comunale, con relativo regolamento, che tutela e valorizza i saperi, le attività e soprattutto le produzioni agro-alimentari tipiche e tradizionali. Imbutini compresi!

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P.s. La stessa Valentini ha confermato che adesso l’origine e la funzione di questo “tagliaqualcosa” è stata finalmente scoperta. Grazie al suggerimento dello storico della gastronomia Luca Cesari durante una edizione di Ci.Bo. L’attrezzo risale agli anni ’20 del secolo scorso ed è originario proprio della terra felsinea. Veniva utilizzato, infatti, per realizzare in forma artigianale in “grandi” numeri la forma rotonda della pasta per il tortellino. Più bolognese di così?! Per conoscere meglio questa straordinaria invenzione in punta di forchetta è possibile visitare il sito: www.saporiinforma.it.