Il tappo di sughero è roba per nostalgici, per inguaribili romantici? Quello a vite è il futuro e il condensato di prestazioni e tecnologia?

Ultimamente si fa un gran parlare di tappi, dimenticandosi però che quando si tratta di sistemi di chiusura e conservazione del vino non si disquisisce del tempo né di calcio. Sì, perché il tappo è “l’ultimo coadiuvante enologico”, in quanto permette di dare al vino un’impronta definita e specifica. È quindi fondamentale per i tecnici sfruttare le caratteristiche di ogni materiale utilizzato, ricordando che non esiste il tappo perfetto, ma esiste un tappo per ogni vino che si vuole rendere perfetto.

La decennale diatriba tra tappo in sughero e tappo a vite – fino a oggi vinta nel Vecchio Mondo sempre dal caro e vecchio tappo in sughero – è stata portata nuovamente alla ribalta da un gruppo di vignaioli che hanno deciso di farsi chiamare Gli Svitati: Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa, cinque aziende d’eccellenza e pioniere del tappo a vite in Italia, che si sono riunite per raccontare, tutti assieme, il loro modo di fare vino e, soprattutto, di tapparne le bottiglie, contro i pregiudizi che hanno spesso accompagnato questa tipologia di chiusura.

Ciò che ha portato i cinque Svitati alla scelta del tappo a vite è l’obiettivo che sta dietro al suo utilizzo: il perfetto mantenimento – affermano – di quelle qualità organolettiche del vino tanto ricercate e valorizzate dal lavoro in vigneto e in cantina. «Grazie alle sue caratteristiche – fanno sapere Gli Svitati – questa tipologia di tappo permette infatti una micro ossigenazione costante, preservando il vino e permettendo un’omogeneità qualitativa anche nel caso di vecchie annate, oltre a una corretta evoluzione. Siamo cinque aziende che cercano la precisione fin nei minimi dettagli, scegliamo i vitigni che più ci rappresentano e le uve migliori, in cantina abbiamo tutto quello che ci può aiutare a produrre un vino di un’altissima qualità. Ma soprattutto abbiamo a disposizione il tappo ideale per mantenerla. Ecco perché non possiamo non approfittarne. La precisione che abbiamo sempre ricercato oggi è anche un atto dovuto nei confronti del pubblico e nei confronti del vino». 

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Gli Svitati danno anche qualche numero: «Il mercato globale, in particolare negli ultimi otto anni, sta dimostrando un’attenzione sempre maggiore a questa chiusura. Dai dati riportati da Stelvin e Guala Closures oggi quattro bottiglie su dieci sono imbottigliate con tappo a vite, con una percentuale che in Europa Occidentale, storicamente più tradizionalista, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021 (con un 22% in Italia)».

Sì, ma quali vini possono giovare di questa tipologia di chiusura? Una prima risposta la potrebbe dare lo Chef de Cave di Bollinger, Gilles Descôtes, che in occasione della presentazione dell’esclusivissimo R.D. annata 2008 ha proposto ai presenti un gioco: capire cosa c’era di differente tra due bottiglie di Champagne prodotte con le medesime uve, della stessa annata, vinificate con gli stessi metodi, rimaste sui lieviti lo stesso periodo di tempo. Uno si presentava molto giovane e fresco, l’altro regalava la ricchezza e la cremosità dell’evoluzione, ma con una bella spinta acida. Cosa c’era di diverso? La chiusura. «Il tappo in sughero per noi di Bollinger è vitale: fa in modo che il nostro vino evolva in modo straordinario, mentre con un tappo corona o a vite questa evoluzione non esisterebbe. E non è quello che vogliamo».

SONO SOLO PREGIUDIZI?

Chi “spinge” per il tappo a vite spesso addita il sughero come un prodotto scarsamente tecnologico, ma non è così. «Spesso il tappo in sughero viene approcciato alla tradizione, senza riconoscerne la totale avanguardia tecnica e la portata di sostenibilità, oggigiorno entrambe determinanti nelle scelte di packaging prima e di acquisto a seguire. Soffermiamoci sul tappo a vite: tutti ne conoscono pregi e difetti. Da un punto di vista tecnico è riconosciuto quale ottima soluzione per vini che devono evolvere in riduzione. Il vino però è una materia viva e, in base al tipo di prodotto che si desidera ottenere, deve esser scelta la chiusura». A dirlo è Carlos Veloso dos Santos, amministratore delegato di Amorim Cork Italia, che prosegue: «Il contributo del sughero, oggi, è molto vasto: andiamo da soluzioni neutrali come le tecnologie che in Amorim Cork Italia abbiamo per i tappi in microgranina, a base di trattamenti con CO2 allo stato supercritico, fino a prodotti, tipo i tappi in sughero monopezzo, che danno un contributo polifenolico all’evoluzione dei vini. Il problema dell’odore di tappo è completamente scomparso nelle nostre linee di prodotto. La percentuale di difettosità è talmente marginale da rendere evidente la supremazia delle chiusure in sughero».

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Carlos Veloso dos Santos, amministratore delgato di Amorim Cork Italia

VALUTAZIONE DI TIPO TECNICO      

Alle chiusure per vino negli ultimi anni si è assegnato un compito molto importante e, soprattutto, differente rispetto alla loro primaria funzione: oggi, infatti, si chiede non solo di contenere ma soprattutto di conservare, due termini che possono essere considerati sinonimi, ma che sono estremamente differenti, in quanto se il primo significa tenere al proprio interno, il secondo significa mantenere nel migliore modo possibile. Questo è attualmente il punto focale della questione e delle aspettative del consumatore di vino.

«È fondamentale ricordare – prosegue Carlos Veloso dos Santos – come il vino sia uno dei pochi alimenti che non prevede una data di scadenza e ciò obbliga le cantine ad assicurarsi che la bottiglia appena stappata, sia, nel tempo, una sempre nuova e inaspettata fonte di sensazioni nel momento del suo consumo.

Sappiamo ormai per scienza e conoscenza che differenti tipi di chiusure generano differenti tipi di vino e quindi possiamo definire il tappo utilizzato come un supporto allo stile di vino che la cantina intende proporre».

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Quindi arriviamo al confronto scottante. Sughero o vite? «Se poniamo a confronto due differenti tipi di tappi come il tappo a vite ed il tappo di sughero, troveremo esattamente le due facce opposte di questa realtà. Da una parte una chiusura, quella a vite, che tende a non accompagnare il vino nella sua naturale trasformazione, proprio in funzione della sua struttura totalmente metallica e non reattiva, l’altra, il sughero, nelle sue varie forme naturali o industriali come i tappi tecnici ed in microagglomerato, che grazie alla sua struttura e composizione tenderà a supportare il divenire del vino nel tempo, stabilizzando il colore e ingentilendo gli aromi e le note gustative, complessando le sensazioni tattili in virtù del continuo scambio di sostanze polifenoliche tra tappo e vino. Il corredo fenolico presente all’interno dei lumi cellulari del sughero è decisamente complesso e molto simile alle sostanze presenti nei migliori legni di barrique. Studi recenti ci stanno dimostrando addirittura funzioni antiossidanti del materiale negli anni di intimo contatto tra vino e sughero».

Non si tratta di teoria o partito preso, ma di test scientifici e cognitivi. «Diversi anni di prove di confronto e di test sensoriali alla cieca – spiega l’ad di Amorim Cork Italia – ci hanno dimostrato come la percezione di consumatori e specialisti si orienti sempre verso vini chiusi e conservati con il sughero, proprio in virtù delle note che ne scaturiscono durante la degustazione».

VALUTAZIONE DI TIPO LIFESTYLE

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L’aspetto del packaging è un fattore sempre più rilevante nella scelta di acquisto, anche per quanto riguarda il vino: tutti sono alla ricerca di soluzioni che offrano un percepito naturale, artigianale e soprattutto che possano dare valore aggiunto a qualsiasi tipo di prodotto, “premium” per l’appunto. Basti pensare al mondo dell’alta moda oppure alle scatole degli iPhone per capire quanto il design sia importante per favorire l’esclusività di un prodotto.

«Oggi tutti i grandi vini e i migliori spirits chiedono il sughero – dice Carlos Veloso dos Santos -. Per quale motivo? Perché dà valore al contenuto. Lo dimostra ancora una volta la neuroscienza: una recente ricerca fatta allo IULM di Milano ha concluso che di fronte allo stesso vino chiuso con il tappo di sughero o con il tappo a vite, cioè facendo vedere ai degustatori l’apertura della bottiglia, nonostante il contenuto esattamente uguale, il consumatore esperto ha giudicato di maggiore qualità il vino con il tappo di sughero. Capisco il problema di chi sceglie il tappo a vite: desidera vendere i prodotti a un prezzo importante, ma il mercato li svaluta in virtù del tipo di chiusura. È per questo che i produttori si mettono di impegno in questa crociata, che a mio avviso è giusta per il loro interesse, ma sprovvista di quella che è una conseguenza effettiva sulle tendenze di mercato, che portano il tappo a vite verso i segmenti più bassi del vino. Pensate che in uno studio Nielsen negli Stati Uniti sui vini venduti al di sotto dei 30$, il consumatore attribuisce alle bottiglie chiuse con un tappo diverso dal tappo a vite un valore mediamente più alto di un dollaro, perché ritiene che questo sia sinonimo di un vino di maggiore qualità. Per noi questo tipo di approccio, quindi, non è problematico, anche perché in futuro non ci potrà essere sughero per tutti i vini prodotti nel mondo, che raggiungono quota 30 miliardi di litri all’anno, considerando anche i prodotti in Bric oppure BiB (Bag in a Box)».

*Nota del redattore. Abbiamo interpellato anche Guala Closures per approfondire la questione, dal loro fronte, dei tappi a vite, come abbiamo fatto con Amorim per il sughero. A oggi non abbiamo ottenuto risposta alla nostra richiesta di intervista, inviata ancora lo scorso marzo.

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