La cipolla dell’acqua
La chiamano zvòla da aqua, perché in passato veniva coltivata nei terreni attraversati da canali e fossi d’acqua, e oggi diventa Presidio Slow Food: stiamo parlando della cipolla dell’acqua di Santarcangelo di Romagna. Una varietà di cipolla (è la sedicesima in Italia a diventare Presidio, un dato che meglio di qualsiasi definizione spiega che cosa significa il termine biodiversità) «dalla pezzatura importante, che può arrivare anche al chilo di peso, di colore bianco e buccia dorata, e soprattutto caratterizzata da una dolcezza che ne consente il consumo anche a crudo, in insalata» spiega Fabio Polidori, il referente dei quattro produttori che aderiscono al progetto.
Il mito della cipolla
Nella prima metà del Novecento, nella zona di Santarcangelo di Romagna la produzione della cipolla era fiorente. «Nei terreni, tra una aiuola di cipolle e l’altra, venivano scavati dei piccoli fossi e l’irrigazione avveniva per scorrimento: l’acqua, prelevata dal fiume Marecchia, scorreva abbondante – prosegue Polidori –. Ma oggi quei fossi non sono più gli stessi: quelli che ancora ci sono portano molta meno acqua, ma molti non esistono nemmeno più. Nella zona in cui ho l’azienda io, ad esempio, un tempo correva una fossa che assicurava l’acqua a cinque mulini: è scomparsa. Questo fa capire quanto le scelte politiche possono cambiare la morfologia di un territorio». Decennio dopo decennio, poi, la coltivazione ha subìto un progressivo abbandono: oggi resistono pochi contadini, che hanno ereditato la semenza e lavorano per conservarla e tramandarla.
Se l’irrigazione avviene necessariamente in modo diverso e la coltivazione si pratica su superfici ridotte, ciò che non è cambiato è il calendario dei lavori nell’orto: la semina avviene a gennaio, il trapianto delle piantine in primavera, la raccolta tra metà luglio e fine agosto: «Ho sempre avuto il mito della cipolla dell’acqua – ricorda Polidori –. I miei zii erano agricoltori e io, che ne sentivo parlare come di uno dei fulcri della cucina locale, rimanevo impressionato vedendo cipolle così grandi. Così otto anni fa ho iniziato anch’io».
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In cucina, dalla piadina al dolce
Agli abitanti di Santarcangelo di Romagna l’appellativo di zvùléun, cioè cipolloni, è stato dato dai vicini riminesi: un soprannome che racconta bene un passato legato a doppio filo con il dolce e buonissimo ortaggio. In cucina, la cipolla dell’acqua si presta a diversi utilizzi: oltre a venir consumata cruda, un tempo veniva cotta sulla stufa a legna oppure avvolta nella stagnola e messa nella brace. Oggi la si ritrova in molte preparazioni, a cominciare dalla piadina per arrivare fino ad alcune pietanze dolci. «È un vero e proprio tesoro per i santarcangiolesi, che la amano. – conclude Serena Boschi, referente Slow Food del Presidio – Ma siccome si conserva poco, due o tre mesi, oggi il tentativo è quello di usarla anche per fare trasformati e renderla sempre più appetibile sul mercato».