C’è chi dice no
Il primo a fare scalpore è stato Gualtiero Marchesi. Lo chef simbolo della cucina italiana per antonomasia a un certo punto della sua carriera aveva dichiarato di voler “restituire le stelle” alla Michelin. Era il 2008 e la sua petizione è entrata nella storia: “Critici, da oggi vi critico io”. Se le guide gastronomiche già da anni hanno visto nomi illustri dire no, oggi con questo “fenomeno” devono fare i conti anche le guide enologiche.
L’ultima, almeno a comunicarlo, in ordine di tempo è stata una realtà trentina, Vallarom: «La nostra coerenza – spiegano dalla cantina – ci porta a pensare che, non sempre, i numeri o semplici valutazioni espresse con simboli particolari possano scavalcare la nostra filosofia. Come scrive Tucidide: “Il segreto della felicità è la libertà. Il segreto della libertà è il coraggio”. Per questo abbiamo maturato una decisione che può sembrare assurda, ossia di non inviare più i nostri vini alle guide, eccezion fatta per Slow Wine. Allo stesso modo abbiamo deciso di non partecipare più ad alcun tipo di fiera».
Come Vallarom anche tanti altri, meno noti e noti come Martin Foradori Hofstätter, il viticoltore alla guida dell’omonima azienda di Tramin – Termeno, rinomata in particolare per i suoi Pinot Nero e Gewürztraminer, così come per l’impegno per la valorizzazione della menzione “Vigna” in etichetta: «Il mio non è un “no” a priori alle guide – afferma Martin Foradori Hofstätter -. Sicuramente la mera valutazione di un singolo vino è quella che, alla fine, almeno dovrebbe incidere sulla recensione e sul punteggio di un vino. Ritengo, però, che nell’esprimere un parere, positivo o negativo che sia, dovrebbe essere doveroso anche informarsi sul produttore, sforzarsi di capire quale pensiero lo abbia indotto a fare un determinato vino e capire quanto sudore e passione ci abbia messo nel produrlo, a partire dal lavoro svolto in vigneto. Proprio questo aspetto va oltre alla soggettiva e discutibile valutazione di una campionatura». Ci sono guide nazionali e internazionali e chiaramente va fatto un distinguo, precisa Foradori Hofstätter: «Sforzandomi, forse riesco a comprendere che potrebbe essere difficile per i responsabili di una guida internazionale visitare ogni anno le singole realtà di un territorio ma quelle italiane hanno spesso un responsabile che vive nel territorio di riferimento. In questo caso una visita in cantina e una chiacchierata con il produttore dovrebbero essere il punto di partenza nell’esprimere un parere su un prodotto. In secondo luogo, e anche qui va fatta una distinzione, il mondo delle guide è ampio, comprende professionisti di altissimo livello ma anche dinamiche commerciali che ritengo lontane dalla mia visione e dalla mia filosofia. Ciascuno è responsabile di sè stesso e della propria economia aziendale. Io devo metterci il massimo delle mie facoltà imprenditoriali per mantenere in vita il mio business, così dovrebbe essere per tutti. Il portone della mia cantina è sempre aperto e siamo pronti ad accogliere e fare degustare i nostri vini a tutti coloro che ritengano interessante farci visita. Se poi qualcuno, dopo aver assaggiato i vini ed aver ascoltato le mie parole sull’annata e sui progetti che la nostra azienda ha in campo oggi e per il futuro, vuole recensire il mio vino e dargli un punteggio è libero di farlo, a suo insindacabile giudizio».
Vini e cantine di grande livello che non finiscono in guida come tantissimi altri. Per citarne alcuni: Poderi Gallino (Cisterna d’Asti), Azienda agricola Serena Giordanino (Costigliole Saluzzo), Danilo Thomain (Arvier), Azienda agricola Di Duccio (Viggiano), Cantine Dastoli (Filadelfia), Vigne Bentesali (Sant’Antioco), Gianfranco Comincioli (Puegnago sul Garda), Azienda agricola Lagatta (Lupara), Bajaj di Moretti Adriano (Roero), L’acino (San Marco Argentano, Tenute Dettori (Sardegna), Cantina Barone a Prato (Trentino), Azienda agricola Domenico Urciuoli (Campania), Valle dell’Elce (Puglia), Azienda agricola Tenuta degli Angeli – Acetaia Testa (Bergamo)… La lista è lunga.
La carota e le sue sfumature
«Non mandiamo i vini alle guide perché secondo noi non è tutto corretto», è il commento secco e caustico di Franco Pelz con i fratelli Diego e Michele, che allo studio sui libri hanno preferito il lavoro della terra, si sono costruiti una cantina propria, di 1000 metri quadrati, tutta sottoterra su due piani, un vero gioiello. Ma nel contempo hanno rinnovato i vigneti, nove ettari, tutti in proprietà, mettendo a dimora solo varietà elette, come il Müller Thurgau e lo Chardonnay.
Mentre stavamo scrivendo questo articolo è arrivata la notizia, che ha fatto il giro del web, di un vino da supermercato (una Piquette da 2,50 euro prodotto da vinacce pressate cui viene aggiunto zucchero e acqua; una bevanda che non potremmo nemmeno definire vino) travasato in un’altra bottiglia etichettata con il nome di una cantina inesistente e dal nome altisonante “Le Château Colombier”, che ha vinto la medaglia d’oro al concorso Gilbert & Gaillard International Wine Competition di Hong Kong. Un risultato inaspettato, frutto di uno scherzo ben elaborato e realizzato da parte della trasmissione belga “On n’est pas des pigeons”, programma dell’emittente RTBF. Scandalo? Anche in questo caso non si può fare di tutta l’erba un fascio, la serietà dei concorsi viene costruita nel tempo e ognuno fa storia a sé.
Quello che conta, è ben altro. È capire chi, oggi, può rappresentare il nuovo game changer. «Una volta bastava una riga di Veronelli e tutti venivano in ginocchio a chiederti il vino. Oggi solo pochi privilegiati hanno ancora questo rapporto con il consumo e la fidelizzazione dei consumatori passa attraverso miriadi di strumenti individuali», è la risposta di molti operatori del settore.