La castagna simbolo della stagione autunnale e dei primi fuochi accesi. Prezioso seme di un albero millenario che matura da fine settembre fino a novembre, per molte popolazioni montane ha rappresentato un prezioso sostentamento.

«Il grano non è sicuramente il nutrimento della maggior parte del mondo. Il mais, la manioca nutrono tutta l’America. Da noi ci sono intere province nelle quali i contadini mangiano soltanto pane di castagne, più nutriente e più buono di quello di segale o di orzo di cui si alimentano in tanti, e che vale assai più del pane militare distribuito ai soldati.» così parlava Voltaire nel suo Dizionario filosofico del 1764.

La castagna ha rappresentato, infatti, un elemento base della dieta montana, consumata fresca, lavorata come farina per ricavarne pane o polenta, cotta, sotto la cenere, bollita o arrostita sulla brace. È anche un’importante risorsa per nutrire i maiali e bovini, a loro sono destinati i frutti di minor qualità, capaci però di trasmettere alle carni un gusto particolarissimo. Così, secolo dopo secolo, è nata una vera e propria “cultura della castagna”, rappresentando per gli agricoltori una risorsa economica importante, così come la presenza di moltissimi toponimi, cognomi o soprannomi che la ricordano.

Castagne e marroni

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Anche se molto simili castagne e marroni non sono la stessa cosa. La prima è il frutto della pianta selvatica, nota anche come “albero del pane”. La seconda è il risultato della mano dell’uomo che attraverso potature ed innesti dei castagni è passato dalla raccolta spontanea alla coltivazione scientifica ottenendo così la varietà dei marroni. Inoltre, il riccio comprende fino a 3 castagne, che tendono ad essere piccole, tondeggianti, al suo interno molto spesso la polpa è divisa da una pellicola. Il marrone, al contrario, è a corpo unico più facile da sbucciare e più gustoso adatto a fare le caldarroste mentre le castagne sono più farinose e si usano per le farine e altre lavorazioni.

A San Zeno di Montagna, nel veronese, tra il lago di Garda e il Monte Baldotroviamo una particolare cultivar di marroni che per le sue caratteristiche nel 2003 ottiene la DOP. Le prime testimonianze scritte sulla sua coltivazione sono del XIII secolo. 

La Denominazione di Origine Protetta Marrone di San Zeno si riferisce alla specie Castanea sativa Mills, riconducibile alla varietà “marrone”. I frutti devono presentare delle caratteristiche ben precise come la forma ellissoidale, la buccia sottile e lucidissima, di colore marrone chiaro con striature scure. Pellicola sottile che si stacca con facilità alla pelatura e seme di colore tendente al giallo paglierino, pastoso e di gusto dolce. Inoltre la pezzatura variabile, ma con un numero di frutti per kg non superiore a 120 e non inferiore a 50.  Al momento dell’immissione al consumo i frutti, oltre a presentare le caratteristiche di forma ed aspetto sopra specificate, devono presentarsi interi, sani, puliti ed asciutti.

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Le forme di allevamento, nel rispetto del paesaggio, devono essere legate a sesti di impianto ed a sistemi di potatura adeguati, per non modificare le caratteristiche peculiari del Marrone di San Zeno DOP. È vietato l’uso di prodotti di sintesi e le pratiche di forzatura, al fine di salvaguardare la naturalità della produzione. La raccolta avviene esclusivamente nel periodo autunnale e può essere effettuata a mano o con mezzi meccanici idonei, tali da salvaguardare l’integrità sia della pianta che dei frutti. 

I marroni raccolti subiscono trattamenti di cura secondo il metodo tradizionale, quali la “novena” e la “rissara”. La prima consiste nel farli riposare in acqua fredda per 9 giorni cambiando parte o tutta l’acqua ogni 2, senza aggiunta di nessun additivo. La rissara invece, praticata da sempre su questi monti, consiste nell’accumulare all’aperto i frutti ed i ricci per 8-15 giorni. In entrambi i casi l’obiettivo è favorire una fermentazione naturale per far aprire il frutto e preservarlo da funghi, muffe e parassiti.

Dolce o salato la versatilità del marrone

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Il Marrone di San Zeno si può consumare in moltissimi modi: crudo è poco digeribile e ha un apporto calorico di circa 150 calorie per etto, bollito ha un apporto calorico di circa 120, arrostito, la versione più classica il suo apporto calorico aumenta a 200 calorie all’etto. Tanti sono i modi di gustare il Marrone di San Zeno dal pane fatto con la farina di castagne, al classico risotto, ai dolci come il famosissimo Monte Bianco.

Minestrone di Verdure

Ingredienti

200g di Marroni di San Zeno (lessati)

100 g di patate

80 g di carote

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100g di cipolla

100g di verza

50g di fagioli

1 spicchio d’aglio

2/3 croste di formaggio grana o parmigiano reggiano

1 pagnotta di pane ampia

Olio extra vergine d’oliva, rosmarino, sale, pepe tutto q.b.

Procedimento

Pulire e mondare tutte le verdure e farle a pezzi non troppo grossi, tagliare a pezzi anche le croste di formaggio. Mettere in una pentola l’olio, dopo averlo fatto scaldare, friggere il rosmarino e l’aglio schiacciato, senza fargli prendere colore. Togliere gli aromi e aggiungere le verdure, coprendole d’acqua, salare a piacere.

Lasciar cuocere il tutto a pentola scoperta, schiumando quando necessario. Contemporaneamente,far bollire i marroni pelati in acqua salata con foglie di salvia e unirli, una volta scolati, alle verdure, aggiungendo anche le croste di formaggio.

Servire in ciotole, oppure prendere una pagnotta di pane, tagliare la parte superiore, scavarla dalla mollica affinché diventi un recipiente con coperchio. Metterla in forno q.b. per asciugarla e sarà pronta ad accogliere il minestrone.

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