Tenace come il suo Appius – «le prime uscite non andavano a ruba come oggi, cosa crede» -, istrionico, consapevole, visionario. Hans Terzer è uno dei wine maker più iconici d’Italia: rigore altoatesino e passione per Australia e California, l’enologo di St. Michele Appiano, dopo 46 anni, ha deciso di andare in pensione. Nessuno ci avrebbe scommesso eppure ha deciso: da fine 2024 il testimone passa a Jakob Gasser. Difficile, però, smettere di fare un lavoro che  è anche grande passione e che soprattutto ha riempito più di due terzi della propria vita: la prima vendemmia di Hans Terzer, infatti, risale al 1977. «Sono nato a Niclara, nel comune di Cortaccia – racconta Terzer – e d’estate andavo a lavorare in cantina per mettere da parte un po’ di soldi che, quando sei giovane, ti servono sempre. È lì che ho incontrato quello che allora è stato il mio mentore, Herbert Tiefenbrunner. Dopo aver frequentato il corso di enologia a Leimnurg, a 21 anni sono arrivato in St. Michele Appiano e lì sono rimasto fino a oggi, per 46 anni, in totale ho fatto ben cinquanta vendemmie».

cantina St. Michele Appiano
St. Michele Appiano

Cosa è cambiato nel mondo del vino in questi 46 anni?

Sono cambiate davvero molte cose. Cinquant’anni fa il vino di qualità era semplicemente un vino privo di errori, senza difetti, pochissime aziende puntavano su quella qualità che oggi, invece, è un imperativo per tutti. Oggi parliamo di qualità come se fosse una cosa vecchia di centinaia di anni, ma non è così: cinquant’anni fa chi beveva vino era un contadino, con pochissima cultura, ora invece il vino è uno status symbol o, comunque, un qualcosa che rientra nella sfera del piacere. Il modo di intendere il vino è cambiato radicalmente, faccio un esempio su tutti: se una donna 30 anni fa si fosse messa su una terrazza di un hotel a bere un bicchiere di vino tutti l’avrebbero guardata male, era una cosa non di classe e non da “brave ragazze”, oggi invece una donna che apprezza il vino è affascinante ed elegante.

Cosa ha fatto cambiare la mentalità del consumatore nell’approccio al vino?

Forse la ristorazione, la cucina, l’attenzione alla salute, il piacere della tavola che ha sostituito la mera necessità di nutrimento. Il benessere, insomma, ha fatto bene alla qualità del vino. Il consumo del vino oggi non ha nulla a che fare con l’alcolismo, è gratificazione e piacere, talvolta quasi un lusso.

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Oggi in che direzione va il vino?

Parlo per l’Alto Adige ma credo valga per gran parte dei territori vinicoli. Dobbiamo essere consapevoli che non possiamo aumentare ogni anno fatturati e utili, dobbiamo secondo me accontentarci di quello che siamo riusciti a ottenere fino a oggi e proteggerlo. Lo stesso vale per il turismo: non possiamo continuare ad aumentare i posti letto o i ristoranti, dobbiamo fermarci e forse anche prendere delle scelte impopolari, anche a livello di amministrazione provinciale. Semmai innalziamo ancora di più la qualità, ma senza diventare inaccessibili e snobare chi può uscire a mangiare solo la pizza.  

Chiunque creda nella crescita illimitata su un pianeta fisicamente limitato, o è pazzo, o è un economista.

David Attenborough

E a livello italiano e internazionale?

Ci sono diverse mode, come i vini naturali, che a mio avviso non vanno seguite: bisogna fare ciò in cui si crede, creare il proprio marchio e portarlo avanti.  Questa filosofia negli ultimi trent’anni per l’Alto Adige ha funzionato molto bene, in Italia e nel mondo si è conquistato una certa reputazione e mercati importanti. A un certo punto, l’Alto Adige ha avuto il coraggio di cambiare, anzitutto il colore dell’uva: cinquant’anni fa era per il 75% rossa, per lo più Schiava, adesso è al 23% e dominano le uve a bacca bianca. Abbiamo anche cambiato il sistema di allevamento, che da pergola è passato a guyot, che oggi rappresenta il 90% del vigneto altoatesino. Soprattutto, però, posso dire che abbiamo cambiato la mentalità di produzione dei nostri soci: a quei tempi contava solo la quantità, oggi di fare più numeri possibile non se ne parla più, si parla solo di qualità.

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Un’altra cosa di cui si parla frequentemente, oggi, è come può fare il vino a conquistare i giovani?

Domanda difficile, ci sto pensando anche io e non ho ancora trovato una risposta, però una cosa è certa: con i giovani bisogna parlare molto chiaro. In che modo? Tramite influencer, giornalisti, non è facile, forse dovremmo investire anche di più nei social media.

E a proposito di giovani, da qualche anno al suo fianco c’è quello che è stato designato suo successore, Jakob Gasser.

Lascerò nel 2024, verso la fine dell’anno, ma continuerò a seguire Jakob per 4 o 5 anni, per aiutarlo a non fare errori. Sono convinto che porterà avanti le mie idee aggiungendo anche il suo contributo, anche se non credo ci saranno tanti cambiamenti. Non starò al suo fianco, ma dietro di lui.  Il mio desiderio è che la cantina vada avanti bene come negli ultimi anni: ho lavorato per St. Michele Appiano per 45 anni, non ho intenzione di lasciare e veder succedere un terremoto, anzi, vorrei che le cose andassero ancora meglio di oggi. Abbiamo investito tanto e questo deve portare i suoi frutti.

Ha pensato anche di fare consulenze per altre cantine?

Non lo escludo, ma se lo farò sicuramente sarà fuori dall’Alto Adige e dovrà essere un progetto che mi appassiona. Non lo farei certamene per i soldi.

Non le è mai venuta voglia di fare il suo vino, di avere una sua cantina?

L’anno prossimo ho 68 anni, i miei figli non fanno il mio lavoro, non ha senso.

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Cosa avrebbe potuto fare Hans Terzer se non avesse fatto il wine maker?

Il giornalista investigativo oppure il giornalista di spedizioni o di viaggi, tipo per National Geografic. Ecco, quando finirò di lavorare vorrei fare dei bei viaggi per scoprire meglio alcune parti del mondo, perché per lavoro ho conosciuto spesso solo grandi città e vorrei vedere altro. Il primo viaggio che voglio fare è sicuramente in Nuova Zelanda. Mi piacerebbe molto anche la Norvergia, ma si va in battello ed è freddo e a mia moglie queste due cose non piacciono per niente…

Altre passioni?

La bicicletta e mangiare e bere bene.

C’è qualche sogno nel cassetto che vorrebbe ancora realizzare?

Nel vino direi di no, volevo i 100 punti di Wine Specrator ma non sono arrivati e non credo arriveranno adesso. La cosa più importante per me è lasciare la cantina a testa alta e con la stima di tutti.

Se non beve St. Michele Appiano, cosa beve?

Quando sono fuori dall’Alto Adige mi interessa bere i vini del posto in cui mi trovo. Sono un amante delle bollicine, soprattutto Champagne e al primo posto delle mie preferenze c’è il Blanc des Millenaires di Charles Heidsieck, ma anche dei vini australiani e della Napa Valley. Ho una cantina con 2 mila bottiglie, con appena una cinquantina di etichette altoatesine, il resto è estero. Se parliamo di bianco preferisco i vini del Nord, Borgogna e Riesling. Se parliamo di rossi amo i vini fini ed eleganti come Pinot Nero, il Barolo e il Sangiovese, ma mi piacciono anche i vini di grande struttura come qualche Supertuscan, Bordeaux ma soprattutto Australia e Napa Valley. Qualche nome? Conterno, Casanova di Neri, Montevertine, Hill of Grace, Armand Rousseau in Borgogna, bianco Aubert e rosso Jospeh Pelps l’Insigna.

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