Chi frequenta abitualmente i ristoranti – di qualsiasi fascia di prezzo – si è sicuramente accorto dell’ultima tendenza: i ricarichi eccessivi non solo del cibo, ma anche (o forse soprattutto) del vino, del 400, anche 500% sul prezzo di produzione. Il risultato qual è? Inevitabilmente, la riduzione dei consumi e il rischio (o forse sarebbe meglio dire la realtà, perché sta già accadendo) di tagliare fuori una fetta di pubblico. A pagarne le spese non è solo il consumatore, ma anche tutto il mondo che quel vino lo produce e lo produce perché se ne tragga gioia e soddisfazione bevendolo, senza sentirsi bastonati da conti da emiri arabi.

Se si chiede al mondo della ristorazione una spiegazione su questi rincari fuori controllo la risposta all’unisono è questa: l’aumento dei costi di affitto, delle bollette, del personale, delle rotture dei calici e del magazzino. Anche quando il magazzino non c’è e la politica è quella di ordinare poche bottiglie per volta grazie agli ormai diffusi servizi dei distributori di vino, che permettono di ordinare anche bassissimi quantitativi, con consegne just in time.

Ma è davvero così? Questi rincari folli hanno davvero ragione di esistere? Lo abbiamo chiesto all’altra fronda della ristorazione, quella fatta da chi – come dicono loro – vuole far divertire la gente e preferisce dare la possibilità di aprire due bottiglie di vino anziché una.

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Oscar Mazzoleni è uno dei più seguiti sommelier d’Italia, proprietario de Al Carroponte di Bergamo, Cantina dell’Anno 2019 per la Guida de L’Espresso: la carta dei vini è composta da più di 1600 etichette provenienti da tutto il mondo e disponibili alla mescita. «La mia carta dei vini – racconta Mazzoleni – è molto personale: io scelgo quello che mi piace, metto in carta le annate più belle mentre altre che oggi non sono pronte le tengo da parte, tendenzialmente assaggio sempre tutto ciò che scelgo, cerco produttori emergenti, e applico un ricarico che permetta ai miei clienti di bere due bottiglie. Io non amo i ricarichi folli, bevuti magari in bicchieri inadeguati. Voglio che la gente si diverta. E parlo anche di grandi bottiglie: il Romanée-Conti in tutte le carte d’Italia si trova a 35mila euro, nella mia carta lo trovate a 11mila».

Perché, invece, la maggior parte dei ristoranti non applica la filosofia del ricaricare meno ma vendere di più?  «A mio avviso – risponde Mazzoleni – semplicemente perché non interessa far divertire la gente, così ricaricano per 4 o per 5, guadagnando il massimo. Ma è inutile avere in carta verticali che si possono permettere solo per gli zar russi. I ricarichi vanno abbassati. Siamo davanti a una crisi senza eguali, ci faremo male in tanti, ma oggi se pensiamo di andare in pari con il fatturato ricaricando in modo folle i vini abbiamo sbagliato tutto».

Da Bergamo andiamo a Madonna di Campiglio, al ristorante Gallo Cedrone, taverna dell’Hotel Bertelli, una Stella Michelin. Marco Masé è il patron e sommelier di questo che è sicuramente uno dei ristoranti dell’arco alpino più belli e con una delle carte dei vini più interessanti (Premio carta dei vini Italia nella categoria 1 Stella Michelin per la Milano Wine Week): «Quello che ho notato negli ultimi tempi è che ci sono diversi nuovi ristoranti che propongono vini premium a prezzi molto alti e credo che questo dipenda dal fatto che non li comprano in direct. La mia scelta di non ricaricare eccessivamente i prezzi dei vini e di avere in carta anche etichette a meno di 30 euro è dettata dal fatto che io ho due ristoranti da gestire con un’unica carta: il ristorante stellato e quello dell’hotel. Chiaro che per il pasto in hotel si scelga un vino più “normale”, “quotidiano”, sui 25 euro, mentre al ristorante gourmet magari si scelgano vini più “speciali”. Ovviamente può anche succedere che le due cose si mescolino, dipende dai clienti. In cantina abbiamo circa 800 etichette, scelte in base agli obiettivi del ristorante. Questo è fondamentale per chiunque faccia ristorazione: costruire una carta dei vini ragionata in base alla propria proposta e al proprio contesto è essenziale».

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Nel caso del Gallo Cedrone i ricarichi non sono particolarmente elevati, «in primis perché compro direttamente dal produttore e magari in quantitativi più alti avendo anche l’hotel. Preferisco uscire con un prezzo corretto che mi faccia guadagnare meno sulla singola bottiglia ma mi faccia girare la cantina: il vino lo voglio vendere. Sulle verticali per le annate che non si trovano più in commercio, applico un ricarico ogni anno del 10%. Sui vini di uso quotidiano il ricarico più o meno è di 3 volte, mentre su quelli di alta gamma è di circa 2 volte. L’idea è far bere le persone. Quando hai 25mila bottiglie in cantina a inizio stagione, devi pensare che le vuoi vendere, non lasciarle lì. Ma per farlo, per vendere tante bottiglie, bisogna in primis avere prezzi corretti e, ancora più importante, avere competenza: molti investono su posate e piatti e chef, ma non su calici e sommelier». Un problema che nasce fin dai tempi delle scuole: «Le scuole professionali – osserva Masé -non si sono ancora mai preoccupate di insegnare le tecniche di vendita oltre che relazionali: fin che parliamo di elettricisti, falegnami e cuochi non è un problema, non sono persone che per professione devono avere grandi relazioni con il pubblico, ma per camerieri e sommelier questo conta, eccome. Chi sa vendere bene il menu del ristorante in cui lavora fa la differenza, e lo stesso vale per la carta dei vini».

OLTRE AL PREZZO, I CALICI

Quante volte vi siete trovati a ordinare una bottiglia di un certo valore che poi veniva servita in bicchieri di qualità scadente (vetro pesante, forma inadeguata e così via)? Probabilmente molte volte. Anche in ristoranti di un certo livello, con conti sopra i 100 euro a persona, vino escluso. «I calici – spiega Mazzoleni – devono essere leggeri e calibrati, e bisogna avere il bicchiere giusto per ogni tipologia di vino. Trovo poca serietà da parte dei ristoratori in materia di calici da vino. Ci si dimentica dell’importanza di questo che è un elemento essenziale. Quando un locale ha un conto medio di 100-150-200 euro a persona non ha problemi a investire nei bicchieri, e non li ha nemmeno un locale con un conto meno inferiore, è solo una questione di superficialità. Lo scorso anno al Carroponte abbiamo rotto 240 bicchieri di un valore medio di 30 euro l’uno: sono i rischi del mestiere, sono strumenti del mestiere, siamo imprenditori della ristorazione».

Concorda anche Masé: «Il calice è fondamentale e non ne servono di tantissime tipologie: tendenzialmente io credo che un calice da Champagne, un paio di bicchiere da vino bianco (Riesling e Chardonnay) e un paio da rosso (Bordeaux e Borgogna o Pinot Nero) e uno per i vini da dessert siano sufficienti. Devono essere di qualità, belli da vedere e da tenere in mano, leggeri, e ovviamente adatti al tipo di locale. Se fai 500 persone al giorno è meglio scegliere calici più resistenti, se hai 20 clienti a servizio puoi permetterti bicchieri più raffinati. In generale, però, la questione è che non c’è cultura oppure si cerca di risparmiare, anche se oggi ci sono bicchieri bellissimi a costi accettabili. Del resto, c’è poca cultura sul vino. Quanti locali si fanno fare le carte dei vini dagli agenti?».  

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