L’artista Francis Bacon diceva che «il desiderio non si accontenta mai di quello che ha, ma con infinito e insaziabile appetito tende a cose sempre nuove», e Maurizio Zanella va ancora più in là: «Non solo non mi accontento mai, ma mi sento sempre insoddisfatto. Punto sempre a un gradino più in alto e ho impregnato di questa costante e bella insoddisfazione tutti quelli che lavorano in Ca’ del Bosco: c’è un team che ragiona come o peggio di me e questo mi rende sereno».

Che per realizzare grandi cose ci voglia un desiderio immenso – che ha più a che fare più con l’ambizione, gli ideali, i sogni e poco con il business – ce lo hanno insegnato i grandi uomini e le grandi donne che hanno segnato la storia di tutti i tempi. E sicuramente Maurizio Zanella per la sua Franciacorta e per il mondo del vino italiano è uno di questi.

Negli anni ‘70 un giovanissimo Maurizio Zanella, presidente dell’azienda, decide di trasformare la tenuta acquistata dai genitori – chiamata in dialetto bresciano ‘ca’ del bosc’ – in una cantina. A far scoccare la scintilla che lo porterà a innamorarsi del mondo del vino è un viaggio in Francia. Il resto è storia, raccontata anche in un podcast intitolato Vite nel bosco con le voci di Pierfrancesco Favino e Martina Colombari.

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“Ma sì, è tempo di dirlo. A quel ragazzo, soprattutto a lui, è dovuto il successo della Franciacorta. Ci buttò dentro la rabbiosa volontà del meglio, dell’esasperata selezione, del qualitativo estremo”

Luigi Veronelli, Corriere della Sera, 12 marzo 2000

«La mia più grande fortuna è stata quella di iniziare da zero – racconta Zanella -. Non avevo una storia familiare contadina e quindi non subivo i condizionamenti delle tradizioni pregresse, di quelle abitudini, talvolta controproducenti, da cui poteva essere difficile emanciparsi. Il mio percorso, le mie scelte, la mia innovazione: tutto si basava su una libertà di pensiero».

Una costante ricerca di qualità e di eccellenza ha fatto di Maurizio Zanella uno dei principali protagonisti del Rinascimento enologico italiano. Determinante è stato anche l’incontro con due figure cruciali: lo chef de cave francese André Dubois, grazie al quale nascerà il primo Franciacorta Pinot Millesimato di Ca’ del Bosco, e Luigi Veronelli, celebre filosofo e giornalista enogastronomico la cui amicizia segnerà per sempre il destino di Zanella.

Ma chi è Maurizio Zanella, al di là di Ca’ del Bosco? Come si racconterebbe, fuori dal contesto di lavoro?

È un po’ difficile dirlo, perché Ca’ del Bosco è la mia vita. Tranne poche cose, in primis la famiglia, ho ben poche altre distrazioni. Mi diverto facendo quello che faccio. Ca’ del Bosco è sempre stato il fulcro della mia vita, è stata ed è un divertimento, non un lavoro.

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Cosa avrebbe fatto se non avesse fondato Ca’ del Bosco?

Non ci ho mai pensato… Probabilmente avrei fatto un lavoro creativo come l’architetto, mi piacerebbe dire il pittore ma non ne ho le capacità.

Il prossimo autunno in Ca’ del Bosco ci saranno delle novità.

Più che delle novità si tratta del fatto che finalmente abbiamo finito un cantiere che è durato troppo, per cui festeggeremo semplicemente la fine dei lavori e la realizzazione del progetto costruttivo. Ci sono una nuova ala di affinamento, la vinoteca, l’ingresso e tutta una serie di altre opere che sono state realizzate in questi ultimi due anni, compreso un magazzino super tecnologico con tanto di droni.

A che punto è arrivata Ca’ del Bosco e quali sono i prossimi traguardi?

In termini dimensionali siamo arrivati, più in là non possiamo andare: siamo vicino ai 270 ettari vitati, tutti rigorosamente certificati biologici, che per questa latitudine sono tanti, e non riusciremo ad andare oltre, e questo corrisponde a poco più di 2 milioni di bottiglie quanto c’è una bella annata. Si può e si deve andare avanti invece in termini di qualità. Ogni anno acquisiamo un po’ di esperienza in più e qualche piccola nuova innovazione. È così che riusciamo a fare quel salto in avanti che serve. Non ci consideriamo per niente arrivati e dobbiamo necessariamente progredire in termini di qualità del prodotto, compatibilmente con il “socio di maggioranza”: è lui che decide se l’annata è buona o cattiva. Per raggiungere la qualità ci sono tante modalità operative, tra cui sicuramente quella di aumentare i tempi di affinamento pre e post degorgement, ma anche in campagna: in questo tutto il mondo del vino italiano è tremendamente giovane, sessant’anni nel vino di qualità non sono niente. Quindi siamo forse a metà di un percorso e c’è ancora tanto da dire. Per fare questo lavoro finché non hai un secolo di vita non hai acquisito tutte le competenze necessarie.

La Franciacorta, invece, a che punto è?

Il discorso è abbastanza simile, con lo svantaggio che abbiamo sì 60 anni ma la parte produttiva ne ha meno di 30. L’età della vigna e la cultura di chi la lavora è fondamentale. Ca’ del Bosco è tra le realtà più vecchie, ma ci sono aziende che hanno iniziato dieci o vent’anni fa, e come detto ci vuole tempo per affermare a livello viticolo un territorio.

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Il più grande punto di forza e il più grande punto di debolezza della Franciacorta?

La dimensione forse li raccoglie entrambi. Una zona che probabilmente non arriverà mai oltre i 25 milioni di bottiglie ha una dimensione limitata, che può essere una cosa sia positiva sia, chiaramente, negativa.

Quindi le altitudini non vi spaventano?

Nel modo più assoluto, soprattutto come Ca’ del Bosco: ormai abbiamo più del 20% dei vigneti sopra i 400 metri, che ci daranno ciò che ci servirà domani, se il clima andrà avanti così. Siccità e innalzamento di temperature non sappiamo se saranno una costante, la storia ci insegna che ci sono sempre stati dei cicli e quindi mi auguro che si faccia marcia indietro. È appurato anche già negli anni prima della guerra che ci fossero stati problemi di siccità e calore, sicuramente l’uomo ci ha messo del suo a cambiare le cose ma non è detto che questo trend sia tale da costringere tutti i vigneti ad andare a 1500 metri e a necessitare di impianti irrigui. Non sono così convinto che questa sia l’unica direzione. Noi ci siamo mossi in tempo per ovviare con l’altitudine, ma non è detto che sarà necessario.

Oltre a essere famosa per i suoi prestigiosi vini, Ca’ del Bosco è rinomata per il suo legame con il mondo dell’arte. La cantina ospita al suo interno straordinarie opere contemporanee commissionate da lei negli anni ad artisti di fama internazionale, a partire dal Cancello solare di Arnaldo Pomodoro, fino ad arrivare alla scultura Eroi di Luce firmata da Igor Mitoraj e Water in dripping di Zheng Lu, per non parlare dell’opera firmata da Stefano Bombardieri Il peso del tempo sospeso: un rinoceronte a grandezza naturale appeso al soffitto, simbolo di attesa e di pazienza, componenti fondamentali nell’arte del vino.  C’è qualche artista nel mirino per regalare una nuova opera alla cantina?

Più che un artista, ci sono delle belle idee sull’arte che non possiamo spoilerare ma che tra un po’ renderemo note.

C’è qualcosa che rimpiange di non avere fatto?

Rimpiango di non aver fatto il bravo papà al 100%, per il resto non ho nessun rimpianto. Sul lavoro nemmeno: si poteva fare sicuramente meglio, ma certamente abbiamo fatto l’impossibile. Se poi non si è riuscito a ottenere tutto ciò che si voleva, ci sta.

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Ha ancora qualche sogno nel cassetto?

Non uno, mille! C’è da fare un percorso ancora lungo di crescita, possiamo ancora toglierci tante tante tante soddisfazioni. E questo vale non solo per Ca’ del Bosco, ma anche per tutta l’Italia.

Ha in mente nuovi vini?

No, dobbiamo dedicarci a migliorare quelli che abbiamo.

Se potesse decidere cosa mangiare e cosa bere nella sua “last supper”, cosa sceglierebbe?

Le angulas spagnole, con un grande Franciacorta.