La fortuna/casualità dell’assaggio delle anteprime dell’attesissimo Brunello 2018 mi muove a tornare a parlare di Altesino. Nel celebrato universo vitivinicolo di famiglia Gnudi Angelini, infatti, la più piccola delle cantine ilcinesi rappresenta fin dagli esordi una di quelle perle rare, magistrale intersecarsi di equilibri mistici e sovrannaturali.

Del resto è difficile, quasi impossibile resistere alla verve e al fascino di Elisabetta Gnudi Angelini. Prepotentemente donna-imprenditrice, capace di reinventarsi a 40 anni, dopo la prematura scomparsa del marito Paolo (Angelini), erede della celebre, omonima supercompany italiana, è arrivata a costruire il proprio sogno mattone su mattone, partendo da Borgo Scopeto (ora, oltre che cantina, celebrato relais) per poi tenacemente fiaccare la resistenza del gruppo di imprenditori milanesi che la fondò nel 1970, rilevando Caparzo, famosa per avere sdoganato la – ai tempi criticatissima – etichetta verde. Poi è la volta di Altesino, nel 2002, vincendo la concorrenza di un titano come Château Margaux, per chiudere con l’idillio maremmano di Doga delle Clavule. Un patrimonio costituito da un insieme di realtà artigiane, orgogliosamente indipendenti, nonostante si arrivi a sfiorare i due milioni di bottiglie prodotte complessivamente. Il segreto? Sembra un termine scontato, ma è la territorialità. Certo aiuta avere curato il concetto di cru fin dagli anni ’70, tra i primi, con il Brunello Montosoli (poi il La Casa di Caparzo) a sdoganare il criterio della vigna unica. Aiuta anche possedere alcune tra collocazioni più prestigiose di Montalcino, anche in una logica futura, essendo quasi tutte collocate a nord. Insomma, un sistema capace di generare valore aggiunto, cui non è estraneo l’operato di uno staff d’eccezione, capitanato dalla figlia di Elisabetta, Alessandra, un passato da brillante ingegnere aerospaziale, ora emanazione della famiglia, presente in ogni aspetto dell’operatività, ma soprattutto, insieme ad Elisabetta, immagini – sorridenti – del Gruppo. Quello che è certo è che nei 93 ettari della tenuta sovrastata dal quattrocentesco Palazzo Altesi, che della cantina è un po’ l’epicentro, si pratica una viticoltura di grande passione/attenzione sia in vigna che in cantina, come dimostrano per l’appunto gli assaggi. Cinque appezzamenti, Altesino, Macina, Montosoli (primo Cru nella storia del Brunello di Montalcino), Pianezzine e Velona, collocati nel quadrante nord-est, da cui si producono poco più di 300.000 bottiglie, ma soprattutto una cifra, proprio quella dell’eleganza, cui non si è mai rinunciato.

Il Brunello Di Montalcino DOCG Vigna Montosoli di Altesino 2017 è un vino dai tratti ‘nordici’, certo, come è normale del quadrante nord-est della ‘collina’ di Montalcino, tuttavia sontuosamente raffinato, di croccantezza ed eleganza, naso di ribes nero, zest di clementina e maggiorana, grande freschezza-succosità al palato, con tannini iodato-salmastri e finale fruttato-officinale.

Perfect Match

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