Tutto parte dall’aceto conosciuto e usato fin dai tempi più antichi, le cui prime testimonianze risalgono agli antichi egizi, di oltre 10.000 anni fa.

Fin dal tempo degli antichi Romani, nei territori delle odierne province di Modena e Reggio Emilia, compaiono testimonianze di un aceto diverso per profumi e gusto. Il termine “balsamico” apparve per la prima volta nel “Registro delle vendemmie e vendite dei vini per conto delle Cantine segrete Ducali” nel 1747. In questi territori fin dall’antichità esisteva una grande produzione di uva ottenuta dal vitigno selvatico detto “Vitis Labrusca” e il suo succo concentrato era utilizzato come dolcificante. Il mosto dell’uva, a seconda degli usi, poteva essere concentrato fino a tre diversi livelli: Caroenum se concentrato del 30%, Defrutum del 50% e Sapa se ridotto ad un terzo.

A partire dal ‘500, le vicende dell’aceto balsamico, aggettivo usato per evidenziare le capacità terapeutiche, sono strettamente connesse alla storia del casato degli Este. In un volume del 1556 viene ricordato che nelle dispense ducali erano presenti aceti classificati a diversi livelli qualitativi per diversi utilizzi. 

A fianco, della produzione di eccellenza, da tramandare di generazione in generazione come un dono prezioso, si era sviluppata una produzione, sempre eccellente, ma che consentisse un processo meno costoso e capace di generare maggiori volumi. Nel 1839, il Conte Giorgio Gallesio, studioso di agricoltura, descrisse minuziosamente i processi produttivi dei due “aceto balsamico”: quello ottenuto da solo mosto cotto e quello da mosto fermentato e vin fatto, definendo il primo come «eccelso», l’altro come «pure eccellente», che corrispondo agli odierni Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop e all’Aceto Balsamico di Modena IGP. Al momento della annessione al Regno d’Italia, nel Palazzo Ducale di Modena erano registrati aceti di otto diversi tipi: fino, balsamico, semibalsamico, quasi balsamico, nostrano fino, nostrano ordinario, comune, agresto. Anche l’enologo Ottavio Ottavi chiese consiglio, per l’installazione di una acetaia, all’avvocato Francesco Aggazzotti che in una lettera del 1863 gli descrisse minuziosamente le consuetudini produttive nella sua famiglia. Questo documento divenne la ricetta ufficiale e la base per il Disciplinare di Produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena che ottenne la DOC nel 1987 e nel 2000 la DOP. 

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La Camera di Commercio chiese al designer automobilistico Giorgetto Giugiaro di progettare una bottiglietta esclusiva affinché diventasse marchio e simbolo del prezioso prodotto. Questa bottiglietta da 100 ml, imbottigliata esclusivamente nei centri di imbottigliamento autorizzati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, quando chiusa con l’apposito sigillo numerato costituisce l’unica vera garanzia di autenticità e di qualità, come dettato dal Disciplinare di Produzione. 

L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena

L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è ottenuto dal mosto cotto di uva. Il processo, estremamente artigianale, si sviluppa in quattro fasi principali: vendemmia e pigiatura, cottura del mosto, fermentazione e acetificazione, maturazione ed invecchiamento.

Le uve che possono essere utilizzate sono Lambrusco, Trebbiano, Ancellotta, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino, Occhio di Gatta, e le altre autorizzate. La pigiatura soffice permette di ottenere un mosto “fiore”, dolce e profumato e con basso contenuto di tannini. La cottura del mosto avviene in caldaie a cielo aperto e a fuoco diretto. Il mosto cotto viene avviato a fermentazione, terminata la quale, è utilizzato per alimentare le “botti madre” e successivamente la “batteria”. Un insieme di botti a volumi normalmente decrescenti, spesso di legni diversi, attraverso le quali l’aceto procede negli anni grazie alla pratica annuale dei “travasi”. Il processo avviene annualmente e solo dopo almeno 12 lunghi anni è possibile prelevare dall’ultima botticella, la più piccola, una aliquota annuale di prodotto finito. Con questa tecnica di anno in anno la qualità e la complessità organolettica dell’aceto tendono a migliorare fino a potersi fregiare della denominazione “Extravecchio” dopo almeno 25 anni di continue e sapienti cure da parte del produttore. Si tratta quindi di un processo “in continuo” con un sincrono equilibrio fra le quantità di prelievo e quelle di travaso e rincalzo in modo che la complessità delle trasformazioni chimico fisiche portino nel tempo il prodotto a raggiungere la corretta scorrevole sciropposità, l’armonico equilibrio della componente dolce ed acida e il ricco bouquet di profumi e sapori che identifica l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena.

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L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, denso, scuro e lucente, grazie alla sua versatilità, permette di insaporire sia primi sia secondi, ma anche frutta e dolci. Bastano poche gocce per impreziosire e caratterizzare qualsiasi piatto, dai più semplici alle grandi preparazioni.

All’olfatto regala un bouquet di aromi dalla frutta in confettura alle note legnose regalate dalle essenze delle botti utilizzate per l’invecchiamento. Il profumo è complesso e penetrante, in bocca si caratterizza per un sapore agro dolce, avvolgente e vellutato.

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chef Stefano Brandoli

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Procedimento.

Per la pasta: impastate in planetaria la farina, le uova e un pizzico di sale.

Per l’impasto: setacciate la ricotta vaccina, unite gli spinaci precedentemente sbollentati e aggiungete sale, Parmigiano Reggiano DOP e noce moscata, mescolando il tutto affinché si raggiunga un composto bene amalgamato. Stendete la sfoglia su un tagliere con un po’ di farina, tagliate a quadrati di 8 cm e con un cucchiaio apponete il ripieno, quindi ripiegate saldamente la sfoglia. Cuocete in acqua bollente e salata. Scolate e saltate in padella con abbondante burro e salvia.

Servite con Parmigiano Reggiano DOP, impreziosendo il piatto con un filo di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP.