Pitina IGP
Chi hai mai sentito parlare della Pitina? Tra le Valli Pordenonesi, nell’area montana del Friuli Venezia Giulia, è custodito un piccolo tesoro della gastronomia di un tempo passato: la Pitina, un prodotto unico, per il quale non esistono termini di paragone. Simile alla classica “polpetta”, ma un po’ più grande, la Pitina originariamente era fatta di carne magra di selvaggina, oggi, più spesso di pecora o capra.
Un tempo costituivano la “riserva” di carne, spesso la materia prima proveniva dalla caccia di frodo o dalla disgrazia di una bestia che bisognava macellare dopo che si era ferita cadendo. Il nome Pitina si è originariamente diffuso nella Val Tramontina grazie ai primi produttori: gli abitanti del comune di Tramonti di Sopra. E è ancora grazie a loro che dal 1969 è stata recuperata la tradizione locale organizzando la “Festa della Pitina” che da allora si ripete ogni anno. Oggi la Pitina è un prodotto ricercato e nel 2018 ha ottenuto il riconoscimento a Indicazione Geografica Protetta.
Pitina IGP
La Pitina IGP è un prodotto di salumeria ottenuto da un impasto composto da una parte magra (minimo 70%) di carne di ovino o di caprino o di selvaggina ungulata, limitatamente alle specie capriolo, daino, cervo, camoscio e da una parte grassa di pancetta o spallotto di suino.
La noce bleggiana, antica varietà trentina
Le carni vengono mondate, macellate ed impastate con un trito di sale marino, salgemma, aromi naturali ed erbe aromatiche. Dall’impasto così ottenuto si formano dei singoli agglomerati di forma sferica, del peso compreso tra i 150 e i 400 g, che vengono cosparsi in maniera uniforme con farina di mais. Segue la fase di affumicatura, di durata tra le quattro e le 48 ore, un tempo questo passaggio avveniva nel camino di casa (il fogher o fogolar). Segue la stagionatura in ambienti idonei.
La Pitina si presenta di forma semisferica, di colore compreso tra il giallo dorato e il giallo bruno; al taglio il colore interno è tra il rosso vivace e il bordeaux carico, con la parte esterna più scura. L’impasto si presenta magro con grana molto fine. Il sapore è sapido, con un caratteristico aroma di fumo.
Pitina IGP in cucina
Lo vogliamo Prestige, Rosé e Pas Dosé
La Pitina IGP viene prevalentemente servita cruda e a fette, ma si presta anche a diverse cotture: nel brodo di polenta aromatizzato con ginepro e rosmarino, alla brace oppure scottata nell’aceto e servita con la polenta. Un piatto della tradizione ci parla della “Pitina al cao”, cioè cotta nel latte di vacca appena munto. Ottima anche rosolata nel burro e nella cipolla e successivamente aggiunta alla minestra di patate.
Risotto con la Pitina
Ingredienti (per 4 porzioni):
320 g di riso Carnaroli
2 cipolle rosse di Cavasso Nuovo,
220 g di Pitina,
Firriato Signum Aetnae Etna DOC Riserva
olio extravergine di oliva
brodo vegetale
formaggio grattugiato
burro.
Per il ristretto di Pignolo: 300 cl di vino Pignolo o rosso strutturato
1 carota, ½ cipolla, 2 gambi di sedano, 1 foglia di alloro, 2 chiodi garofano.
Preparazione
Soffriggere la cipolla in olio extravergine, aggiungere il riso e far andare come di consueto, con brodo vegetale. A metà cottura aggiungere la Pitina tagliata a cubetti: alla fine mantecare con burro e poco formaggio.
Impiattare e decorare con il ristretto di Pignolo preparato in precedenza facendo cuocere a fuoco lento il vino con le verdure, la foglia d’alloro e i chiodi di garofano. Quando inizia ad addensare, togliere dal fuoco e filtrare; se serve, addensare con un pizzico di maizena.
Credits foto: immagine copertina Laura Tessaro / Cibario ERSA
Le guide servono solo per vendere più vino?
Ambientata sfondo nero: FotoTreativa.com