Ivan Córdoba: «Voglio portare la cucina colombiana in Champions»
Una passione che scorre nelle vene fin da bambino e che si concretizza in emozioni regalate da un abbraccio di migliaia di sguardi, cori ed emozioni. Una passione che si fa vita, anche professionale. Una passione che dagli stadi ha saputo, poi, trasformarsi in qualcosa di altro, anzi di buono. Perché se è vero che l’anagrafe non fa sconti a nessuno, è vero anche che c’è chi sa reinventarsi. Soprattutto se sei uno sportivo e nello specifico un calciatore. E così dalla “Scala del calcio italiano”, Ivan Ramiro Córdoba ha deciso di scendere di nuovo in campo, un campo, questa volta, però fatto di tavoli di ristorante, piatti fumanti e ottimi bicchieri di vino. Lo storico centrale difensivo dell’Inter dal 2000 al 2012, oggi ha lasciato il calcio giocato da professionista. Ma gli scarpini al chiodo non li ha ancora totalmente attaccati, perché come dice lo stesso campione colombiano «il calcio è la mia vita». Al contempo però ha voluto concretizzare anche un’altra grande sua passione: il cibo e il vino. Una passione che è esplosa e si è radicata durante il suo ormai lungo soggiorno in terra italica. Da sportivo a imprenditore del gusto, quindi, da difensore di carattere a capitano del buono, da uno dei protagonisti del “triplete” a divulgatore a tavola della cultura gastronomica della sua terra d’origine.
Certo, tra i fornelli non sarà facile replicare i suoi successi col pallone. Classe 1976, Cordoba ha giocato nell’Inter per 12 anni dal gennaio del 2000 al giugno del 2012 raccogliendo 455 presenze in maglia nerazzurra con 18 gol, 10 assist, 107 ammonizioni e 9 espulsioni. Ha vinto 15 titoli in carriera: 5 Scudetti, una Champions League, un Mondiale per club, 4 Coppe Italia e 3 Supercoppe italiane. Con la nazionale della Colombia ha vinto la Copa America nel 2001.
E allora, come mai un grande interprete del «più bel gioco del mondo» ha voluto scendere in campo in un terreno tutt’altro che semplice come quello della ristorazione?
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Ivan, da poco ha aperto Mitu (ve lo abbiamo raccontato qui, ndr), un ristorante a Milano dedicato al fine food della Colombia, come sta andando?
«Siamo molto contenti e soddisfatti dei feedback che ci arrivano dalla clientela. Del resto penso che al mondo non ci sia nessun veicolo straordinario, in tema di cibo e di vino, come l’Italia. E’ una scommessa che abbiamo voluto tentare ma la vetrina nella quale abbiamo provato a imbastire la nostra idea di offerta gastronomica e anche enologica, è sicuramente straordinaria e molto efficace, siamo in Italia non a caso. Se in più ci mettiamo la bravura dei nostri chef e le materie prime autentiche e buonissime allora le chances ci sono tutte».
Che cosa l’hanno portata a dare vita, assieme ad altri soci, a un ristorante, di cucina colombiana, a Milano?
«Volevamo iniziare a portare in giro per il mondo, in Europa e anche e soprattutto nel Paese che meglio di tutti sa valorizzare l’ambito del cibo, l’Italia, la cucina della mia terra. Se posso utilizzare una metafora mi verrebbe da dire che abbiamo voluto portare una squadra di terza categoria (la cucina Colombiana) a gareggiare direttamente in Champions League (Italia del food). Il tutto però con dei giocatori, i prodotti, che crediamo possano essere, e per ora si stanno dimostrando tali, comunque molto competitivi».
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Una scommessa non banale nella patria del gusto?
«Sì, assolutamente. Il mio Paese non è ancora ben conosciuto in questo ambito. Ma la sua gastronomia, credetemi, è non solo interessante ma capace di poter anche sorprendere. Basta saperla presentare nel modo e nel palcoscenico giusto».
Qual è quindi il segreto di questo successo?
«Saper sorprendere. Uscire da un concetto di cucina tradizionale della Colombia per creare invece una curiosità fine verso spaziature, consistenze, verdure, cotture che magari ai palati europei non sono proprio quotidiani. Ci stiamo riuscendo e per questo siamo molto contenti».
E per quanto riguarda il vino, in che modo Córdoba si è avvicinato e appassionato?
«In Italia, almeno che uno non sia astemio, è praticamente impossibile non essere rapiti da questo straordinario prodotto . Un simbolo della storia e della tradizione che ha la capacità di raccontare territori, idee, verità attraverso eleganza, potenza, capacità di abbinamento con i cibi. Inoltre è un ottimo strumento per socializzare e stare in compagnia, che si sia in famiglia o con amici».
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Quindi il vino sulla sua tavola non manca mai?
«E come si fa… In giro per il mondo forse è più facile pranzare o cenare anche senza vino, in Italia è praticamente impossibile. Sembra quasi di fare un torto alla sua cultura e alla sua tradizione. E’ un rituale, a tavola, avere vino e saperlo abbinare bene con i piatti e questo è impressionante e non lo si trova da nessun’altra parte del mondo».
A proposito di vino, quale sono quelli che preferisce?
«Sono molto appassionato di rossi. Quelli eleganti, di struttura, che hanno una prestanza e una grande abbinabilità a tavola. Ma non solo. Trovo molto interessanti anche i bianchi, rosati, bollicine non mi dispiacciono affatto. Praticamente, mi piace tutto il vino declinato in tutte le sue forme».
Ma avrà qualche tipologia, etichetta che più di altre non possono mancare nella sua cantina?
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«Beh, per quanto riguarda le bolle sicuramente lo Champagne, Dom Pérignon per esempio, oppure per l’Italia il Ca’ del Bosco, che trovo buonissimo, ma anche interpretazioni più leggere come il Prosecco, soprattutto per i momenti conviviali e per sorseggiare con gli amici. A tavola trovo molto interessante anche la Falanghina. Per i rossi non possono certo mancare Brunello di Montalcino, qui non ho etichette preferite perché son tutti buonissimi, mi piace molto il Primitivo ma anche le varie tipologie del Merlot. Una cantina che amo molto, toscana, è la Tenuta Carobbio che fa un Chianti Classico veramente spettacolare. Tra i rossi fuori dall’Italia uno dei miei preferiti, forse perché mi ricorda la mia terra, anche se la Colombia non produce vino ma la vicina Argentina sì, è il Malbec, soprattutto mi piace tantissimo il Potrero di Nicolas Burdisso (altro ex calciatore, ndr). E tra l’altro il Malbec è uno dei vini più venduti nel nostro ristorante».
Da calciatore e campione ha vinto parecchio, si ricorda se ha festeggiato questi momenti speciali con il vino?
«Beh certamente. Con i compagni era facile festeggiare e aprire soprattutto bollicine. Se devo però dire quali faccio fatica, è passato un po’ di tempo».
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Ha altri progetti in ambito imprenditoriale sul cibo e sul vino che intende realizzare?
«Per ora sono molto concentrato sul ristorante, e magari qualcosa di nuovo molto presto verrà fuori, ma non posso sbilanciarmi di più, per cui intendo puntare su questo».
E’ più difficile marcare un attaccante in campo o fare il ristoratore?
«La seconda. Devi avere delle persone che conoscono questo mestiere, una squadra forte per gestire il salone, gli chef e via dicendo… Avrei potuto fare l’allenatore di una squadra di calcio, ma fare il mister di un ristorante è tutta un’altra cosa…».
Infine così, a tradimento e per concludere fuori tema rispetto all’intervista: il calcio, come ha detto, è la sua vita, per cui le chiedo da osservatore attento… Chi vincerà lo scudetto quest’anno?
«Beh, questa è una domanda che per chi guarda, segue, ama, commenta, analizza il calcio è comunque difficile. Fino adesso però, se devo sbilanciarmi, per il gioco espresso, per il potenziale dell’organico, per la capacità di fare gioco direi l’Inter».